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Analog Domain The DAC1
Tutto avremmo pensato, quando abbiamo cominciato ad appassionarci all'audio, tanti anni fa, che anche il nostro settore sarebbe stato soggetto alle mode. Eppure, sta andando così anche per noi.
Tanti, tanti anni fa, esisteva una sorgente: il giradischi. Poi c'era l'amplificazione, magari a 2 o 3 telai e i diffusori. Neanche i cavi per uso audio, esistevano. Piattina da elettricista e via andare. Poi, col tempo, cavi e cavetti hanno seguito la seconda sorgente: quella digitale. Allora si trattava del "semplice" lettore di Compact Disc, una macchina che integrava meccanica di lettura e DAC ed inviava il segnale all'amplificatore. Troppo facile? Già, infatti il lettore CD è stato seguito da meccaniche e convertitori separati, che facevano molto più figo e probabilmente (ma mica sempre) suonavano anche meglio. E da qui il fiorire di combinazioni le più fantasiose tra meccaniche e DAC di marchi diversi, o macchine integrate dalle prestazioni strepitose, e non solo sulla carta. Quando uno pensava di essersela cavata con la scelta tra le due opzioni, ecco tornare prepotentemente di moda il giradischi, ad affiancare la soluzione digitale. Neanche il tempo di rendersene conto, che tra capo e collo è giunta l'alta risoluzione digitale, prima via SACD e DVD-Audio, poi "liquida". E da qui un mondo che stento a sentire mio, di computer da programmare, alimentazioni da implementare, cavi di rete e USB che suonano più o meno bene, sistemi operativi da manomettere, acquisti di file la cui risoluzione promessa non è sempre quella di reale provenienza, provider ai quali abbonarsi e presso i quali si trova di tutto e di più, che poi un giorno sparisce quel disco (file) che ci piaceva tanto... Compatibilità con questo, compatibilità con quell'altro, tablet sulle ginocchia tramite il quale saltare da un brano all'altro, da un artista all'altro, da un genere musicale all'altro, e così via. Ma questo è il mondo del quale ho scelto di occuparmi e, sebbene a fatica, vedo di districarmi tra tante complicazioni. E la prima cosa che serve per districarsi tra tante complicazioni, è ancora il caro, vecchio (si fa per dire) DAC. Quella macchina che converte un segnale numerico in analogico. Prevedibile che l'offerta di queste macchine sia ogni giorno più nutrita, vista la richiesta. Sembrano andare di pari passo con le nuove uscite di giradischi, se non fosse che questi ultimi sono più complessi da realizzare, a causa della necessità di meccaniche di precisione. L'elettronica, invece, sembra sempre più alla portata di tutti. Ma siccome c'è elettronica ed elettronica, sul mercato si trovano DAC da qualche decina di euro a qualche decina di migliaia. Come succede per gli amplificatori, ad esempio. Oggi ci occuperemo di un DAC che si posiziona nella fascia alta (ma non altissima) del mercato, e che è prodotto da uno dei nomi più in voga nell'alta fedeltà attuale: Analog Domain. Si tratta di un marchio tedesco, presente da vari anni (una decina, circa) nelle fiere di tutto il mondo... tranne in Italia, ovviamente. Questa lacuna è stata colmata di recente da MadForMusic, che ha cominciato a distribuire il prodotti Analog Domain in Italia, e con un certo successo, a giudicare da quanto si legge in giro. Chi vi scrive ha avuto occasione di ascoltare, sebbene non nel proprio impianto, il superintegrato Isis, ed è rimasto favorevolmente colpito dalla sua prestazione. Ma siccome la vita è sempre imprevedibile, cosa arriva invece in prova? Il DAC di Analog Domain! Un breve accenno al produttore di queste elettroniche è doveroso. Il titolare e progettista si chiama Angel (e questo me lo rende immediatamente simpatico, anche se non lo conosco) Despotov.
L'uomo pare avere le idee molto chiare su quanto vuole realizzare, e si dichiara seguace delle teorie che vogliono raggiungere le prestazioni del famoso "filo con guadagno" tramite circuitazioni il più possibile semplici. La foto dell'interno del DAC, che vedete qui a lato, testimonia senz'altro dell'intenzione di progettare una macchina non eccessivamente complessa, ma la sua realizzazione dimostra nel contempo la grande capacità ingegneristica di Despotov: componenti a montaggio superficiale e cablaggio inesistente, a favore di affidabilità in fase di assemblaggio del circuito stampato e utilizzo di componentistica di ottima qualità. Già, perché il tipico audiofilo viene colto da attacchi di nostalgia quando vede sporgere i reofori di resistenze, diodi o condensatori, non importa se poi qualcuno con la mano tremante o in giornata storta effettua brasature fredde, e resta invece perplesso davanti alla grande affidabilità di schede assemblate da robot e componenti saldati in un forno controllato da computer.
"Less is better", è la parola d'ordine che arriva dalla Germania e noi vogliamo capire se la pulizia ed il rigore di questo progetto portano ad un suono degno della fama di quest'azienda, oppure no. Prendiamo parte della descrizione dal sito del produttore e ve la traduciamo: "Il DAC1 è un convertitore allo stato dell'arte. E' stato progettato per mantenere inalterate dinamica e risoluzione originali. Il segnale in ingresso viene ricampionato in modo asincrono in modo da superare i problemi di jitter. I dati ricampionati passano per un filtro digitale e subiscono un ulteriore upsampling, così da spostare il rumore digitale oltre la banda audio. " Il DAC1 è disponibile in due versioni: con, o senza controllo di volume. Nel primo caso potrete fare a meno di un preamplificatore, se non avete ulteriori sorgenti da collegare all'impianto. La macchina accetta, in ingresso USB, fino a PCM a 768 kHz e DSD 4x. Il manuale di istruzioni che potete scaricare qui, vi spiega molte cose, tra le quali il motivo per il quale non vedrete sul display i dati che state inviando alla macchina. Il DAC1 è plug and play: voi inviate il segnale che preferite, e al resto pensa lui. Andrebbe benissimo per uno come me, ad esempio. Via le ansie da supercampionamenti. Naturalmente, se la sorgente è un PC, potete controllare il dato in uscita, ma se volete godervi la musica e basta, forse potrete farne a meno. L'apparecchio è molto elegante, nella sua livrea tutta nera ma, o scelta, anche con base e coperchio color alluminio. Il frontale è corredato di un po' di tasti cromati, che hanno funzione di accensione, di selezione degli ingressi, confermati da un LED ed un grande display che indica l'ingresso selezionato ed il volume, nel caso il vostro esemplare ne sia provvisto. Il retro mostra le uscite, bilanciate e sbilanciate, 5 ingressi digitali (AES/EBU, 2 S/PDIF, 1 ottico ed 1 USB), la presa IEC ed il tasto di alimentazione generale. C'è un telecomando a corredo. Direi che abbiamo sviscerato tutto, ora tocca parlare del suono. L'impianto di riferimento: giradischi Basis 2001, braccio Graham 2.2, testina Lyra Kleos, pre phono: Einstein "The Turntable's Choice" bilanciato, lettore CD/SACD Yamaha CD-S3000, lettore multimediale: Oppo 105 D, amplificatore integrato: Audionet Humboldt, preamplificatore: MBL 4006, finali: Bryston 7B³, diffusori: JBL 4350B, subwoofer Velodyne SPL-1200, cavi di segnale: MIT Oracle MA-X Proline, MIT Shotgun S2 RCA, Transparent Super XLR, Transparent Super RCA, cavo phono Cammino PH B 2.2 Ref XLR, cavi di potenza: MIT Magnum MA, Vovox Initio, cavi di alimentazione: MIT Shotgun AC 1, Black Noise Pearl ed altri auto-costruiti, distributore di rete: Lector Edison 230/8, filtro di rete: Black Noise 2500. Gli ascolti sono stati fatti quasi esclusivamente collegando il DAC alla meccanica del lettore Yamaha, per una ragione ben precisa: sono sempre più convinto della difficoltà dei far suonare i normali CD come si deve, mentre è più semplice riprodurre i file ad alta risoluzione, dove le prestazioni del digitale tendono quasi ad un appiattimento che porta a meditare sulla necessità di impiegare risorse economiche esagerate. Come dico da tanti anni, se un lettore digitale (o meccanica, o convertitore D/A che sia), riesce a farci ascoltare una gamma bassa credibile, sa fare bene il suo lavoro. Si parte col Jazz: Attention Screen - Live at Merkin Hall (CD Stereophile). La registrazione, del 2007, è di John Atkinson, ex direttore della famosa rivista audio americana, e quindi una garanzia. Le mazzette (non nel senso di mance ai corrotti, trattasi di bacchette particolari con le punte in feltro) che percuotono i tamburi all'inizio, sanno di molto naturale grazie al timbro, ma anche alla velocità degli attacchi, mentre seguono le improvvisazioni di un pianoforte dal suono particolarmente curato e notevolissimo all'ascolto. I colpi di pedale sulla piccola grancassa Jazz sono correttamente asciutti, ma violenti al tempo stesso. Un effetto difficile da ottenere, sia in fase di registrazione, che di riproduzione. La linea del basso elettrico, nelle parti non rielaborate elettronicamente (è spesso connesso ad un sintetizzatore, ed in questo caso è impossibile giudicare), è perfettamente intelligibile, grazie alla capacità di questo DAC di imbrigliare i suoni a bassa frequenza e porgerli con autorevolezza al resto della catena audio. "Round About a Midsummer's Dream", del Gianluigi Trovesi Nonet (CD Enja) è un disco ben registrato ma anche molto piacevole da ascoltare, a giudizio di chi vi scrive. Che, però, in questo momento, non sa cosa scrivere... In pratica, già dall'inizio del primo brano le cose si mettono bene. Anzi, molto bene. Se continuiamo così, senza trovare difetti, rischiamo di diventare noiosi, ma questo è il rischio che si corre in questo mestiere, quando si è davanti a macchine che si guadagnano il nostro rispetto e che sembrano da subito ai vertici delle possibilità attuali. Proviamo a descrivere qualche cosa, che altrimenti dovremmo chiudere la recensione qui, ma è un po' prestino. Questo disco contiene delle percussioni bellissime, suonate da un ispirato e bravissimo Fulvio Marras, ed il suono che sto ascoltando mi giunge praticamente nuovo, per precisione, velocità di attacco e timbro. Presto mi ritrovo ad ascoltare ad un volume altissimo, senza alcun fastidio, grazie all'assenza di distorsione nei suoni. Anche gli archi suonano con una naturalezza straordinaria. Nel terzo brano, all'improvviso, emerge dal nulla il clarinetto di Trovesi, con una maestosità che lascia a bocca aperta (non temete per il vostro povero recensore, la mascella resta saldamente al suo posto), mentre il contrabbasso e la grancassa, anche in questo caso piccola ed asciutta, come si conviene alle batterie Jazz, lo accompagnano. La collocazione degli strumenti nello spazio è estremamente precisa e credibile. Cambiamo genere? Un disco che non mi stanco mai di ascoltare è il SACD (qui ovviamente leggeremo lo strato CD) Chandos "Orchestral Works - Vol. 2". Alcune opere di Janacek, dalle quali estraiamo il magnifico "Taras Bulba", meno noto della Sinfonietta, ma altrettanto valido dal punto di vista compositivo. In questa esecuzione si cimenta la Bergen Philharmonic Orchestra diretta da Edward Gardiner. Sentiamo subito un'orchestra di dimensioni ragguardevoli, sia in altezza che in profondità. L'organo, nel primo movimento, scende quasi all'infrasuono e lascia pregustare un finale della Sinfonia da vero e proprio terremoto (con l'impianto adatto potete quasi contare i movimenti del woofer, da quanto bassa è la frequenza). Precisione e chiarezza si rivelano ancora una volta non comuni. I violini primi e gli altri archi sono molto belli e le variazioni dinamiche della partitura sono suonate, registrate e riprodotte con estrema cura. Il suono dei violoncelli è pieno ma controllato a dovere. Appena chiudo gli occhi, mi ritrovo catapultato nella sala da concerto, e mi godo il dialogo tra piatti e timpani, giù in fondo. Nel terzo movimento, gli ottoni escono con una forza impressionante ma senza mai disturbare le orecchie, altro sintomo di distorsione sotto la soglia dell'udibile, mentre il timbro resta sempre corretto. Le campane tubolari sono scolpite nell'aria, in alto a sinistra. Alla fine del movimento, il tremendo suono delle note più gravi dell'organo, si spegne lentamente, con una naturalezza incredibile. Che spettacolo! Il "Messiah" di Handel, eseguito dalla London Symphony Orchestra diretta da Sir Colin Davis (LSO), ci propone voci perfettamente scandite tra loro e modulate nelle più piccole nuance, con gli strumenti correttamente in secondo piano, ad accompagnare con discrezione i cori. Si nota sempre un grande equilibrio tra tutti gli strumenti, come quando si assiste ai concerti dal vivo, dove non ci si chiede mai se ci sono troppi alti, medi, o bassi, perché c'è solo la musica. E pregusto il "Messiah" che ascolterò domani sera in Auditorium a Milano. Lo "Stabat Mater" di Pergolesi, interpretato da The Academy of Ancient Music" diretta da Hogwood (Decca) crea subito la giusta atmosfera, tra bellissimi suoni ed emozionanti voci, ripresi in una Chiesa, sebbene a distanza piuttosto ravvicinata, così da ridurre gli effetti ambientali a livelli poco influenti. C'è un bel silenzio tra le note, a riprova di un'elettronica progettata come si deve. Il messaggio musicale è sempre coerente, pur nella riconoscibilità dei singoli strumenti. Il famoso "nero infrastrumentale" che tanta ilarità suscita in chi non lo conosce e perciò non capisce di cosa si tratta. Non si tratta di "scavare" tra gli strumenti, che non è il giusto modo e suonerebbe innaturale (a volte capita, quando si cerca il suono "hi-end che più hi-end non si può). Si tratta di dare ad ogni strumento il proprio spazio, ma all'interno di uno stesso quadro, sebbene tridimensionale, senza innaturali scolpiture. E' difficile esprimere questa sensazione a parole, spero di essermi spiegato abbastanza. Il bilanciamento tra le varie gamme di frequenza, in questo Analog Domain, è pari a quello che si può ascoltare dal vivo, per una compagine orchestrale di queste dimensioni. E' curioso come questo fatto non sia direttamente connesso alla risposta in frequenza che si può misurare. Quest'ultima è ormai identica su macchine che costano anche un centesimo di questo DAC1, ma quanto riportato sopra è proprio di progetti di alto livello. Le voci soliste, guidate da una Emma Kirkby per la quale non abbiamo abbastanza elogi da spendere, e da James Bowman, controtenore che non delude mai, rendono sublime questa esecuzione. Tocca concludere anche quest'interessantissima prova. Il DAC1 deve tornare a casa, che le finanze del vostro recensore non sono illimitate. Questo Analog Domain, primo (e ci auguriamo non ultimo) apparecchio della Casa tedesca che proviamo, è arrivato preceduto dalla chiarissima fama dell'amplificatore integrato Isis. Le aspettative erano quindi altissime. Diversamente da quanto capita quando le condizioni sono quelle riportate, non ci ha deluso neanche un po'. Siamo nell'olimpo di quanto la tecnologia digitale dei giorni nostri ci può offrire. Chi ci arriva in un modo, chi in un altro, ma ciò che conta è quanto giunge alle nostre orecchie. In questo caso, alle nostre orecchie è giunto molto, forse più di quanto ci aspettassimo, ad un prezzo che, pur essendo elevatissimo in assoluto, può essere molto inferiore a quello degli apparecchi di punta di certa concorrenza. Non chiedeteci paragoni a memoria, neanche con apparecchi che abbiamo recensito direttamente; a questi livelli le differenze sono così sottili che si possono apprezzare solo avendo entrambe le macchine nello stesso momento, ed ascoltandole a turno con molto tempo a disposizione. Ciò che possiamo dire con certezza, e che siamo ad un punto di arrivo. Se potete permettervi questa macchina, non ci penserete più. Ormai il digitale Red Book ha raggiunto una tale maturità da giustificare anche investimenti così elevati. Oltre questi livelli, probabilmente non si potrà andare. Angelo Jasparro Produttore: Analog Domain Distributore per l'Italia: MadForMusic Prezzo al Novembre 2021: euro 18.500,00 senza controllo di volume euro 20.490,00 con controllo di volume |