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Elbow - Asleep In The Back
V2

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Nonostante anni di praticata passione per la musica, è la prima volta che mi accingo a recensire un album da me ascoltato; oddio, recensire è una parola grossa, forse meglio sarebbe se mi limitassi ad assumere di "presentare" un album musicale. Come già ho riferito nella mia scheda di presentazione le incisioni audiophile mi interessano relativamente, ovvero mi interessano quando il contenuto artistico non è minore del valore "sonico" - "tecnico" dell'incisione, altrimenti passo. Io voglio emozioni che provengano dall'artista e non solo ed esclusivamente dagli apparecchi per la riproduzione audio. L'effetto di un  cavo nuovo mi emoziona giusto il tempo di apprezzare la differenza rispetto a quello precedente; un buon disco emoziona per molto più tempo (Lapalisse era statico ed imbranato rispetto alle mie ovvietà).
Fatta questa, per me, doverosa premessa, qualche tempo addietro mi sono imbattuto, del tutto casualmente, in un disco di una rock band di Manchester, gli Elbow che mi risultano essere abbastanza famosi altrove, ma quasi ignorati in Italia. Ebbene, questi cinque albionici ragazzoni hanno suscitato in me estrema curiosità, al punto che mi sono procurato la loro intera discografia, eccetto l'ultima release, che probabilmente acquisterò non appena possibile. L'album con il quale ho fatto la loro conoscenza è il primo della loro discografia ufficiale, Asleep in the Back,  pubblicato per la prima volta, se non erro, nel 2001.
Quello che ha catalizzato la mia attenzione è stata dapprima la voce del front-man, Guy Garvey, la quale assomiglia dannatamente a quella del nostro beniamino Pietro Gabriele, al secolo Peter Gabriel, con in più quella nota di graffiante raucedine tipica di coloro i quali usano frequentare fumosi locali dalla elevata gradazione alcolica. Ma v'è di più; la voce del "nostro" è pervasa da una inclinazione malinconica, da una sana "tristezza", che si libra nelle romantiche ballate del gruppo, dove riesce, anche ad essere dolce, ma mai mielosa.

Gli arrangiamenti della band non sono quasi mai banali, ricorrendo anche a sovraincisioni e non disdegnando l'ausilio di effetti elettronici. Non è una incisione che può definirsi audiophile oriented, ma non suona malaccio. Secondo il mio gusto la traccia più evocativa dell'album  è "Don't mix your drinks" seguita a ruota da "Coming second" e "Can't stop".

In conclusione, sempre che queste mie poche righe abbiano destato una qualche curiosità, l'acquisto di questo album non credo possa rivelarsi un cattivo investimento, visto e considerato che, ancora in catalogo, si può facilmente reperire a prezzo davvero conveniente, anche su Amazon.
Degli album successivi che ho ascoltato, ovvero *Cast of Thousands (2003), Leaders of the Free World (2005), **The Seldom Seen Kid (2008) e Build a Rocket Boys! (2011), ho gradito particolarmente il primo* ed il terzo**, che consiglio vivamente a coloro i quali apprezzino il genere.


Vince Genovese



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