Ikeda 9TT
Nel nostro mondo, al contrario di quanto accade solitamente, esistono ancora marchi o nomi che evocano oggetti rari e preziosi, a volte davvero al limite dell’esoterico (aggettivo abusato ma non in questo caso). Misteriosi e magici “maestri” (di solito giapponesi) che, rinchiusi in bui e polverosi laboratori, avvolgono trasformatori, esaminano al microscopio la purezza di rame ed argento, mentre le loro mani sapienti saldano costosissimi componenti elettronici, spesso realizzati da loro stessi, con metalli nobili o almeno da loro selezionati con cura certosina, per fornire le massime prestazioni. I nomi riecheggiano nella memoria di tutti coloro che, ormai“diversamente giovani”, seguono l’alta fedeltà da qualche decennio. Sakuma, Kondo, Imai, Shibazaki, Shindo e, appunto, Ikeda, a buon diritto nell’Olimpo.
Isamu Ikeda è entrato nella leggenda da quando, nel 1964, ha fondato il marchio Fidelity Research, che si è sempre occupato di progettare e realizzare bracci, testine e step-up. E’ universalmente riconosciuta la validità dei bracci FR64 e successivo IT407, un 12 pollici considerato tra i migliori al mondo. Le testine, fossero la FR1 o la FR7, hanno confermato il successo di un’azienda che era addirittura arrivata ad essere quotata in borsa. Vicissitudini delle quali poco si sa, hanno portato alla chiusura dell’azienda nel 1985. Poco dopo nasceva, sempre ad opera di Ikeda, la Ikeda Sound Labs, che dal 2011 ha trasferito produzione e commercializzazione alla IT Industry Company Ltd. Noi abbiamo tra le grinfie l’ultima realizzazione nella serie di testine fonografiche, la 9TT. Segnaliamo, en passant, che di questa testina esiste anche la versione monofonica, così da accontentare tutti gli appassionati del vinile. Caratteristica delle testine della serie 9 è sempre stata quella di non utilizzare il cantilever, causa, secondo Ikeda, di rumore aggiunto e perdita di parte della dinamica contenuta nella registrazione. A mia memoria, solo Decca realizza una soluzione simile. D’altra parte, l’assenza del cantilever pregiudica la corretta lettura di vinili ondulati, senza che si dimostri una superiorità inconfutabile. Gira che ti rigira, la 9TT possiede un cantilever, così torniamo alla tradizione e siamo tutti più tranquilli. Di aspetto estetico delle testine non si legge quasi mai ma desidero rimarcare che questa 9TT è davvero armonica e bella da guardare, montata sui bracci. Per la precisione, su 2 bracci . Come noterete a breve, questa prova è stata effettuata a quattro … orecchie. L’introduzione di una nuova testina Ikeda è evento decisamente degno di nota ed ho voluto che leggeste anche la prova di ascolto dell’amico e collaboratore Domenico Pizzamiglio, persona di vastissima esperienza nel campo dell’analogico. Mentre scrivo queste righe introduttive, ho solo i miei appunti d’ascolto e non ho ancora letto la sua parte, per non condizionare in alcun modo quanto dovrò raccontarvi. Due dati tecnici, che nel caso di una testina fonografica sono assolutamente indispensabili per una corretta scelta: Type: MC cartridge Output Voltage: 0.16mVrms (35.4mm/sec., at 45°peak) Coil Impedance: 2.0 ohms (1kHz) Appropriate Stylus Force: 1.8 grams ±0.2 grams Frequency Response: 10Hz ~ 45kHz Channel Separation: over 27dB (1kHz) Channel Balance: within 1.0dB (1kHz) Stylus Chip: Solid Diamond, Line Contact Cantilever: Double layered duralmin pipe. Weight: 10 grams E qui ci tocca affrontare lo scabroso argomento “Step-up si, Step-up no”. Dichiaro pubblicamente di appartenere al partito “Step-up no” da sempre, fatti salvi alcuni casi, invero piuttosto rari, di livelli di uscita del trasduttore talmente infimi da essere praticamente impossibili da amplificare attivamente. Un’eccezione è concessa (bontà mia) a chi utilizza pre-phono a valvole che, salvo rari casi, devono limitare il loro guadagno per non introdurre troppo rumore nel segnale. I progetti a stato solido, ormai, arrivano a guadagnare 70 dB senza colpo ferire, riuscendo così ad amplificare testine che superino il dato di 0,1 mV. Sarò strano io ma in un mondo dominato dal “less is better”, l’idea di interporre 2 connessioni extra e centinaia di metri di filo di rame se non necessario, non mi entusiasma. Soprattutto perché ogni trasformatore, per quanto realizzato allo stato dell’arte, modifica necessariamente le frequenze agli estremi banda. Tirando le somme: pochissimi sono gli step-up di livello davvero elevato e pochi e costosissimi sono i cavi di collegamento aggiuntivi che possano trasmettere un segnale intatto. Ritengo quindi che, se non strettamente necessario, questi trasformatori vadano evitati. Vogliamo approfittare per far fuori anche la questione del’impedenza di carico che la testina deve vedere per suonare al meglio? Leggo in giro di regole e regolette, di elevazioni al quadrato e frazioni … spesso smentite dalle orecchie. Senza scomodare il compianto Allen Wright, fondatore della Vacuum State, che suggeriva di provare inizialmente a caricare tutte le MC a 47 kOhm, per non sottrarre vita al loro suono. Secondo lui, tra le eccezioni v’erano un Ikeda (modello non precisato) e la Dynavector Ruby, che andavano meglio se caricate con circa 100 Ohm. Teoria interessante e con la quale concordo parzialmente ed a seconda dei componenti utilizzati. La mia esperienza personale mi dice che la mia Lyra Helikon, quando amplificata con un pre phono Audio Research PH3, gradiva i 47 Kohm, mentre con l’Einstein “The Turntable’s Choice”, il valore che utilizzo è 85 Ohm. E questo è solo un esempio. Per questa Ikeda, ho trovato ottimale lo stesso valore utilizzato per la Lyra, che in effetti ha un’impedenza di valore assoluto molto vicino. (5.5 Ohm). L’Ikeda è stata inserita nel seguente impianto: giradischi Basis 2001, braccio Graham 2.2, cavo phono: LAT International XLR, pre phono: Einstein "The Turntable's Choice" bilanciato, cavo tra pre phono e preamplificatore: Transparent Super XLR, lettore CD/SACD dCS Puccini+U-Clock Puccini, cavo tra lettore digitale e preamplificatore: MIT Oracle MA Proline, preamplificatore: MBL 4006, cavo tra pre e finali: MIT Oracle MA-X Proline, finali: Bryston 7B ST, diffusori: JBL 4350B, cavi di potenza: MIT Magnum MA, cavi di alimentazione: MIT Shotgun AC 1, Black Noise Pearl ed altri auto-costruiti, filtro di rete: Black Noise 2500. Veniamo quindi all’ascolto, dopo la cinquantina di ore di rodaggio consigliate dal Distributore italiano. Per inciso, dopo le prime 30, non abbiamo notato variazioni di rilievo nelle prestazioni. Per i primi ascolti, abbiamo usato dischi senza particolari pregi tecnici ed in questi casi si approfitta per riascoltare vecchie cose che, per mille motivi, si sono trascurate. Vi parlerò qui di “Mondi Lontanissimi”, di Franco Battiato (EMI). I colpi di bacchetta sul timpano della batteria fanno sentire il suono della pelle in modo tanto inaspettato quanto apprezzato, mentre il charleston di “No Time, No Space” suona più chiaro del solito. Dopo che il timbro della 9TT si è stabilizzato, possiamo passare a qualche “pezzo forte” dal punto di vista della qualità tecnica. Tchaikovsky: Romeo & Juliet (Telarc), apre la serie. La testina in prova trasmette alla perfezione il senso di romanticismo durante l’apertura di archi. L’ingresso dei timpani è imperioso e pieno, seppure non troppo spinto dinamicamente. L’immagine è larga, ben svincolata dalle grosse JBL che traducono il segnale elettrico generato dall’Ikeda, e profonda quanto basta. Avrete notato che non sono un fan della profondità eccessiva dell’immagine e vi spiego immediatamente il motivo: perché è falsa. Punto. Certamente vi recate spesso ai concerti di musica acustica (che gli altri non fanno testo, visto che il suono esce dagli array di altoparlanti). Se volete ascoltare la musica là in fondo, lontana da voi, come spesso piace agli audiofili che ruotano i diffusori tanto da proiettare il suono molto in profondità, dovete sedervi nelle file più lontane dall’orchestra. Che non è quello che i tecnici del suono mettono nei dischi, pensati quasi sempre col risultato di mettervi quasi al posto del Direttore d’orchestra, in modo da sentire anche i respiri dei musicisti (e spesso succede davvero). In questo caso, che è poi quello reale, la troppa profondità risulta quindi irreale. Superiamo lo scoglio e continuiamo con la descrizione del suono della nostra superba 9TT. Gli estremi della gamma, soprattutto in alto, sembrano appena arretrati, con l’effetto, evidentemente voluto in fase di messa a punto del progetto, di liberare una gamma media decisamente sensuale. C’è poco da fare: i giapponesi, in queste cose, sono imbattibili. “Tabula Rasa”, di Arvo Pärt (ECM), presenta suoni di archi struggenti, in un’atmosfera onirica. Anche il pianoforte di Jarrett non resta indietro, nell’armonia di una riproduzione globale di eccellente qualità e coinvolgimento emotivo. Stupiscono, per naturalezza e ricchezza armonica, i colpi inferti al tamburo nella parte finale di “Fratres”. Le voci di Simon & Garfunkel in “The Concert in Central Park” (Geffen Records), incantano per dolcezza e definizione dei più minuti particolari. Le chitarre in “April Come She Will”, rese con una quantità di dettagli non comune, si contrappongono alla precisione e velocità di basso elettrico e grancassa, nella seguente “Wake Up Little Susy”. Vuoi vedere che questa Ikeda ama particolarmente il jazz? La domanda è evidentemente retorica, ormai abbiamo colto il suo carattere e ne approfittiamo per far girare “Heard ’Round The World” di Miles Davis (CAS). E’ un doppio vinile registrato nel 1976. Il quintetto di Miles è formato da nomi d’eccezione: “Sam Rivers/Wayne Shorter al sax, Herbie Hancock al pianoforte, Ron Carter al basso, Tony Williams alla batteria. L’Ikeda mostra la sua capacità di interpretare ciò che è nascosto nel solco con autorevole delicatezza. La registrazione è molto naturale e così viene riproposta. Decisamente, questa testina si esalta col jazz ed i piccoli gruppi orchestrali in generale. La differenza tra le registrazioni dei due vinili, registrati tra Tokyo e Berlino, è chiaramente percepibile ma la capacità della 9TT di ricreare l’atmosfera dell’evento, resta intatta. I pianissimo di tromba e contrabbasso emergono con estrema precisione dalla profondità del solco, al di sopra del fruscio del master analogico. Un veloce passaggio di “Made in Japan” dei Deep Purple chiarisce invece che per questo tipo di musica esistono alternative più qualificate. Stavo dimenticando di parlarvi dell’eccezionale capacità di tracciamento di questa testina, che scivola nel solco silenziosa e sicura, senza distorsioni udibili fino alla parte più estrema, quella vicino al perno del giradischi. Evidentemente il taglio della puntina è ben realizzato. Cosa dire, in conclusione e prima di lasciare spazio agli ascolti di Domenico? Siamo davanti al classico gioiello giapponese, con le caratteristiche che hanno spesso fatto la fortuna delle macchine da musica provenienti dal Sol Levante. La 9TT è una testina che, appena montata sul braccio, afferma: “Io suono così, prendere o lasciare”. La storia dell’alta fedeltà, in tutto il mondo, ci ha insegnato che molti appassionati risponderebbero con entusiasmo: “Prendo”. Se avessi le possibilità economiche di acquistare tutto ciò che, in qualche modo, mi colpisce favorevolmente, sarei stato anch’io tra questi, rendendo giustizia a molti vinili parcheggiati sul mio scaffale. L’Ikeda ha un carattere forte e come tutte le cose/persone con questa caratteristica, si rivela estremamente interessante e mai scontata. Angelo Jasparro L’ascolto di Domenico Pizzamiglio
La Ikeda 9 TT è stata provata anche nel mio impianto, concettualmente non dissimile da quello di Angelo; giradischi a cinghia, braccio pivot – ‘uni’ il suo, ‘dual il mio’ - pre fono a stato solido), ma ovviamente con apparecchi diversi. La scelta della canna per il braccio Mørch, come sempre montata sul Bauer DPS, è caduta sulla canna “blu” che è la più pesante tra quelle prodotte da J.J. Mørch. Diciamo che un braccio intorno ai 20 gr di massa pare essere quello più adatto; con il mio braccio, la cui massa, come detto, è inferiore ai 20 gr, la frequenza di risonanza (disco test Ortofon) è prossima agli 11 Hz per la laterale e a 9 Hz per la verticale; aggiungendo una piastrina da 3 gr di peso, la frequenza di risonanza laterale è scesa a 10 Hz, restando pressoché invariata quella verticale. Quindi il dato di cedevolezza dichiarato pare essere quello reale. Per i pre-fono ho usato il Lehmann Black Cube (di livello economico assolutamente non consono alla Ikeda) perché è anche MM e mi ha quindi permesso di provare a preamplificare l’Ikeda con un trasformatore, l’Ortofon T20, adatto all’impedenza interna dell’Ikeda e con il solito American Hybrid Technology che è solo per testine a bobina mobile ed ha il grande vantaggio di avere un rapporto segnale/disturbo molto elevato (90 db), così da non far soffrire alcun problema di rumore al debole segnale proveniente dalla testina (debole fino ad un certo punto; i 0,16 mV dichiarati sono parsi parecchio prudenziali. Non ho infatti rilevato grandissime differenze con la Transfiguration Aria che ha un’uscita pari a 0,3 mV, ovvero il doppio). Step-up o pre-fono attivo? Se è silenzioso, non ho alcun dubbio che il pre-fono attivo sia preferibile. Lo step-up potrà anche piacere, ma il suono manca di alcuni particolari che invece emergono chiaramente con il pre-fono. Ho letto in giro che tecnicamente il trasformatore è meglio perché con i pre-fono le MC suonano troppo acute; il che non corrisponde alla verità. Semplicemente si deve usare l’imperfetto orecchio umano e non tentare carichi che si rivelino eccessivi; in questo caso il suono può senz’altro apparire appuntito, ma è un errore dell’utilizzatore e non del sistema. Non so, ma io continuo a pensare – anzi, sono le mie esperienze d’ascolto che mi inducono a dirlo - che l’aggiunta di cavi su cavi, non ultimo quello tra trasformatore e pre fono MM, non facciano bene al risultato finale, tranne in quei particolari casi in cui sia necessario usare un trasformatore per problemi legati alla testina scelta (esempio classico, le Audio Note che escono con segnali infimi, dell’ordine di 0,05 mV; anche se, a dire il vero, con la scheda phono del mio vecchio Burmester 897 non avevo avuto alcun problema neppure con la prima Transfiguration che aveva anch’essa un’uscita infima. Ma il guadagno massimo di quella scheda phono era superiore agli 80 db e il rapporto segnale rumore stava vicino allo stesso dato) o in impianti vintage con preamplificatori a valvole che forse non sono silenziosi tanto quanto quelli moderni. Nel mio caso specifico, anche in ragione della possibilità di adattare il guadagno del preamplificatore, con i due pre-fono Burmester non ho avuto grandi problemi neppure con la Audio Tekné, altro mostriciattolo dall’uscita infima, come non li ho con la Denon DL S1 che, preamplificata con il suo trasformatore dedicato continua a non convincermi, mentre la trovo più libera unita all’American Hybrid Technology. E’ anche vero che i pre-fono attivi moderni sono generalmente piuttosto silenziosi, almeno quelli che ho recentemente provato, come Whest Audio, Tom Evans, Boulder o Burmester. Torniamo alla Ikeda oggetto dell’ascolto. Ikeda, da bravo giapponese – in Giappone gli step-up sono molto amati - dichiara solo l’impedenza interna che è di 2 Ohm. Chi utilizzerà il trasformatore ne sceglierà uno acconcio, mentre chi vorrà un pre-fono attivo potrà stare tranquillamente intorno ai 100 Ohm di carico. Ho provato altri carichi, ovviamente. Con 50 Ohm la testina era corretta, ma in qualche modo “costretta”; spingendo sino a 500 Ohm il suono si è fatto “eccessivo” dal medio-basso al medio-alto, con pochissima influenza sulle gamme bassa profonda e acuta che sono parse quasi compresse dinamicamente (in realtà erano le altre due ad essere eccessive). Alla fine di tutta questa disquisizione come suona questa Ikeda? Diversa dalle Ikeda precedenti, quelle senza cantilever. Ricordo che quando potei montarne una sul braccio rimasi sorpreso da tanto fosse veloce, non particolarmente morbida sull’altro, con un suono molto “monitor”, portato “avanti”, ma tremendamente fascinosa. Qui, al di là dell’introduzione del normale cantilever, sembra proprio di respirare un’altra aria, meno carica di adrenalina, più tranquilla e rilassata. Pur dopo aver effettuato il rodaggio e anche qualcosa di più, la prima ottava non è completa; per riferire di un’impressione uditiva che colpisce, la grancassa sembra sensibilmente più piccola; la ‘botta’ che arriva c’è, ma è spostata leggermente più in alto come frequenza. E anche la parte più alta dello spettro audio risulta in secondo piano. Questa Ikeda mi ha ricordato un po’ le Koetsu, con quella sonorità che, pur non mancando di nulla, è morbida. La 9TT è una testina da musica da camera; ascoltare quartetti d’archi con lei è piacevolissimo, perché le connotazioni timbriche rimangono ben distinte, pur se meno contrastate del solito. L’identificazione degli strumenti c’è e alla fin fine non si fa caso se il violoncello è meno panciuto o se i violini sono solo più ammorbiditi; con alcune registrazioni è piacevole (i Trii per vl, vc e pf di Haydn nell’esecuzione del Beaux Arts Trios su Philips) perché la morbidezza in alto della Ikeda “corregge” il suono un po’ appuntito della registrazione, con altre risulta qualche sottrazione che toglie pathos alla riproduzione (il violino di Ferras nel concerto per Violino e Orchestra di Beethoven con Karajan sul podio). Ne trae vantaggio anche il pianoforte, la cui prima ottava spesso non è registrata al giusto livello (ad esempio in Petrouchka di Stravinsky, Pollini, DGG) mentre la tendenza alla morbidezza della gamma alta permette ascolti per lungo tempo. Dove la Ikeda mi ha convinto meno (rispetto ai miei riferimenti, sia ben chiaro, perché senza competitor intorno, lei, con il suo carattere, non ne risente più di tanto) è nella gestione di segnali più dinamici e complessi. L’Oiseau de Feu di Stravinsky su Telarc ha la gamma medio-bassa portata garbatamente in avanti, insieme con quella media; la definizione degli strumenti c’è, ma ogni tanto qualcosa sui violoncelli tende a sporcare il risultato e manca qualcosa nella violenza delle porzione più alta di frequenze. Ma anche nel concerto per pianoforte e orchestra n. 4 di Beethoven (Kempff, DGG) il suono sembra prodotto in una stanza molto ricca di materiali assorbenti, piuttosto distante dalle sale luminose che si trovano all’estero (Filarmonica di Monaco o quella di Berlino piuttosto che il Musikverein); insomma, sembra sempre d’essere in un teatro d’opera settecentesco. E anche nell’ascolto di generi moderni, come può essere il Making Movies dei Dire Straits, mancano l’impatto del basso elettrico nelle sue note più profonde (ma non il colpo al plesso solare, spostato più in alto; quello c’è) e anche certe sonorità volutamente violente in gamma medio-alta e alta che qui paiono ingentilite. In compenso per chi ascolta molti Lieder, questa sembra la testina da acquistare: con questo genere le caratteristiche proprie della Ikeda sono il vero “atout” e si ascolta tutto quanto è possibile nel tempo a disposizione. La scena eviterei di commentarla; varia da disco a disco e ciò basta. Al limite posso evidenziare come la risposta in frequenza attenuata in alto porti a identificare meno gli altoparlanti, dando una sempre presente maggior sensazione di profondità. Encomiabile la capacità di tracciamento, al livello delle migliori testine passate per casa (mi riferisco a gioiellini tipo Goldenote Tuscany, Air Tight Supreme, ZYX Omega Gold Diamond, Lyra Olympos); mai la neppur minima sensazione di mistracking. Quindi mi sento di affermare che questa Ikeda 9 TT è una testina “mirata”; mirata nel senso che restituisce in modo affascinante certi generi musicali e che ha un suo preciso carattere che se piace spinge all’acquisto. Il costo è fissato intorno ai 3.400 euro, che sono una bella cifra; tuttavia i prodotti di Ikeda rientrano nel novero dei prodotti cosiddetti “da sogno” (riesumiamo un vecchio termine: esoterici) ed in questo caso il prezzo riesce ad apparire contenuto rispetto a certa altra produzione d’élite giapponese. Domenico Pizzamiglio Distribuita da: DNAUDIO
Prezzo: euro 3.380,00 |
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