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Jazz Nature - il dietro le quinte"Perché ci vuole orecchio ..."
E’ l’alba di un giorno di fine Settembre, quando mi trovo lungo l’Autostrada A4, diretto a Preganziol (TV) e precisamente allo studio di registrazione di Velut Luna. Facciamo un passo indietro: un mesetto prima ricevo una telefonata da Marco Lincetto che mi comunica di avere in programma la registrazione di un nuovo disco, una “cosa grossa”, e che mi invita ad assistere al suo lavoro. Un cronista appena un po’ appassionato al suo lavoro non può certo rifiutare di assistere al lavoro di uno dei tecnici del suono più affermati al mondo, non fosse altro che per la curiosità di carpirne i trucchi ma, soprattutto, per fare un servizio ai lettori di audio-activity.com, la mia amata creatura.
Il pieno di gasolio e via, verso i 300 km che mi porteranno al luogo dell’evento, cui seguiranno gli altri 300 per dirigermi a Rimini alla mostra Sintonie High End, ma questa è un’altra storia. Arrivo per primo, i musicisti non sono ancora in studio e Marco Lincetto comincia a raccontarmi della strumentazione che sarà impiegata in questa registrazione un po’ atipica, in un’epoca di digitale spinto a tutti i livelli,di post produzioni invasive … insomma, di musica di plastica (definizione di chi scrive). La catena di registrazione parte dai pregiatissimi microfoni Ribera a valvole ed i musicisti suoneranno assieme, come in un’esecuzione live, in modo da mantenere intatta l’atmosfera del terzetto voce, chitarra e contrabbasso. Quindi non saranno possibili overdub, tagli e nessun’altra post-elaborazione delle riprese. I microfoni trasmettono il segnale al preamplificatore microfonico Millennia HV-3D e da lì ad un sommatore (un mixer privo di tutti gli effetti propri di questa tipologia di apparecchio) Neve 8816, per poi passare attraverso un equalizzatore Millennia NSEQ-2 (protagonista della storiella che vi racconteremo) ed infine, attraverso un indispensabile limiter, al fine di non saturare il segnale durante i picchi dinamici, direttamente in stereo al convertitore A/D Prism Sound AD2. Durante la registrazione, ogni strumento sarà singolarmente salvato in tracce separate, in caso di emergenza, al fine di non perdere intere giornate di lavoro in caso ci fosse un problema, di qualunque natura. Un backup di sicurezza, in pratica. Gli ascolti sono effettuati in cuffia tramite il convertitore D/A Incanto di NorthStar Design, collegato all’uscita della scheda audio del computer. E fin qui la parte tecnica. Nel frattempo, arrivano il chitarrista Pietro Ballestrero ed il contrabbassista Stefano Profeta, seguiti da Lucia Minetti, protagonista alla voce del disco in divenire. Mi sono chiesto più volte come impostare questo reportage ed ho pensato che potrebbe essere un’idea carina dare ai lettori meno introdotti un’infarinatura su alcune delle tecniche che si utilizzano in fase di registrazione di un disco; mi riferisco a quelle utilizzate o utilizzabili in quest’occasione, ovviamente. Mi rendo conto che dopo aver letto queste righe qualcuno si renderà conto che non si tratta di magia, ma solo di abilità e tanta esperienza, e tutto ciò potrebbe rendere più consapevoli gli ascolti dei nostri dischi preferiti. Degli apparecchi che Marco Lincetto utilizzerà abbiamo detto, passerò quindi ad una vera e propria cronaca delle lunghe ore trascorse a “fare il suono”, inframmezzata da qualche spiegazione tecnica. Mi scuso fin d’ora se mi scapperà qualche sciocchezza. Marco Lincetto ha deciso per questa registrazione, come già accennato, di riprendere il trio in diretta, quindi la prima cosa che i musicisti hanno chiesto era quella di posizionarsi in modo di potersi guardare. Chi di voi abbia suonato in una band almeno una volta nella vita sa perfettamente che, mentre suonano, i musicisti devono potersi lanciare cenni d’intesa ed anche poter guardare come muovono le mani sugli strumenti i colleghi. A volte può essere utile guardare le dita del chitarrista per capire al volo l’accordo da suonare al basso, o viceversa. Altre volte uno sguardo o un movimento della testa segnano il ritmo di ciò che si sta suonando. E nel Jazz questa cosa è indispensabile, anche e soprattutto quando non si utilizzano percussioni, come in questo caso. Trovata la posizione e sistemati i microfoni davanti agli strumenti (incredibile come 2 cm di variazione in altezza o l’inclinazione dello strumento rispetto al microfono cambino sostanzialmente il timbro che ascolteremo), si aggiunge la voce. ”Che ci vuole”, direte voi, “un buon microfono, l’anti-pop (quell’oggetto circolare nero che vedete interposto tra la cantante ed il microfono e che serve, appunto, per evitare quelle “p” fastidiose che a volte si sentono nelle voci amplificate), e via, si canta!” E no, cari lettori, qui cominciano i problemi e ve ne parlerò, con la speranza che l’amico Marco mi perdoni se scoprirò qualche “altarino”. Dunque: mentre i musicisti suonano si ascoltano in cuffia e, con la modalità di monitoraggio scelta da Marco Lincetto per quest’occasione, sentono esattamente ciò che andrà sul CD. Cominciano le prime perplessità, soprattutto di Lucia sulla voce. La sente “secca”, priva di corpo e chiede che sia leggermente equalizzata. Apriti cielo! Immaginate la faccia di Marco, che ha deciso di registrare “ciò che natura crea”, senza interventi di sorta. Ma Lucia, dopo qualche altra prova, non è convinta. Apro una parentesi: Marco Lincetto è il produttore di questo disco ed il produttore è il capo supremo ed indiscusso delle operazioni. Avrete sentito dire tante volte che un artista è stato aiutato o mortificato a causa di un determinato produttore. Ebbene, è proprio così che accade. Solitamente il produttore decide quali brani inserire in un disco, magari scartandone altri già incisi, decide la copertina, la grafica, la canzone che andrà in radio a rappresentare l’intero lavoro e, ebbene si, decide anche il tipo di suono che dovrà avere il disco. Quindi, in teoria, non ci dovrebbero essere discussioni. Ma, d’altra parte, chi obbligherebbe un/una artista, ad incidere controvoglia? Ne uscirebbe un lavoro senz’anima (e quante volte in passato è successo, anche con grandi nomi). Tra l’altro, Lucia è una gentile e modesta Signora, che conosce alla perfezione i suoi mezzi e la sua voce, e quindi appare più che giusto seguire i suoi suggerimenti. Quindi Marco si arma di una pazienza che non gli conoscevo ed accetta alcune “varianti” richieste dalla cantante. Alla fine tutti si rema verso la stessa direzione: il disco perfetto, per quanto possibile. Il problema è che queste varianti non possono essere applicate alla sola voce, per quanto detto prima, ma incideranno anche sugli strumenti, che sembrano perfetti sin dal primo tentativo di un esperto Marco (in corso d’opera è stato solo abbassato di pochi cm il microfono della chitarra, al fine di captare un po’ di più il suono della cassa armonica rispetto alle corde, conferendo un po’ più di peso al suono globale, una questione di gusto personale). Le varianti citate consistono dunque in un aumento di 1 o 2 dB nella campana di frequenze attorno ai 200 Hz, oltre ad 1dB a 60 Hz, del quale non capisco l’efficacia nel caso di una voce femminile, ma a Lucia è piaciuto. Prova con 1 dB, prova con 2 dB, riprova con 1 dB. Il trio canta e suona sempre lo stesso brano fino alla nausea. Si registrano consecutivamente varie “take” degli stessi 60 secondi, le si riascolta in cuffia, le si riascolta con 2 piccolissimi monitor che Marco ha nella sala di registrazione; monitor dal cattivo suono come lo intendiamo noi appassionati di audio casalingo, ma spietati nello sputarti in faccia qualsiasi variazione apportata alla registrazione. Gli ascolti finali saranno poi fatti con dei monitor completi e dalle prestazioni ottimizzate per l’ascolto in appartamento ma anche in sala di regia audio: i Pylon Audio Diamond Monitor. Prova che ti riprova, l’insoddisfazione regna sovrana. Lucia è insoddisfatta di ciò che sente, i musicisti preferivano il loro suono senza alcuna equalizzazione. Si tenta la via di aggiungere altri 2 microfoni alla voce, ma le fasi si complicano ed il risultato non soddisfa. Dietro varie insistenze della Minetti e masticando amaro, Marco si arma di equalizzatore e lo collega. Bastano 30 secondi di prova e lo stacca subito, inorridito dalle aberrazioni che si aggiungono al suono. Inoltre Lucia chiede un po’ di riverbero sulla voce, che però Marco non ha previsto in questa registrazione. Altro inciso per quanto riguarda il riverbero. E’ un effetto al quale non si vuole rinunciare, sia per quanto riguarda la voce, che alcuni strumenti. I chitarristi lo usano molto, per esempio. Possiamo tranquillamente dire che i dischi registrati con un qualche tipo di riverbero siano pressoché il 100% di quelli in circolazione. Il riverbero non è una novità: già negli anni 60 lo si trovava negli organi Hammond ed in tutti gli amplificatori per chitarra. Poteva essere a valvole o meccanico, “a molle”, come lo si chiamava, prima che diventasse digitale. Ma anche prima degli anni 60, quando si cercava un riverbero per la voce, si usava il trucchetto di far passare la voce dalla tromba delle scale. Il cantante al primo piano, il microfono al secondo. L’effetto è intuitivo, un vero e proprio eco. Dico la mia: una voce senza un filo di riverbero suona solitamente sgradevole, innaturale. Il perché è piuttosto semplice, a mio modo di vedere: la cantante emette a pochissimi cm di distanza dal microfono, che quindi coglie solo ed esclusivamente la voce. Risultato: come se chi canta fosse in una camera anecoica. La voce risulta così al limite del fastidioso, non essendo arricchita dai riverberi ambientali che anche nello studio di registrazione esistono, seppure attenuati dal trattamento acustico. Quando ascoltate le voci non microfonate in un teatro, non ci sono i riverberi ambientali? Ecco quindi che il sottoscritto, che assiste alle prove ad due metri di distanza dalla cantante, sente poi in cuffia una voce meno “vera”, meno “ricca”. Marco Lincetto, che ha la testa dura ma ci sente più che bene (a proposito, i miei complimenti anche all’orecchio di Lucia Minetti, che non sbaglia un giudizio), acconsente ad applicare un minimo riverbero alla versione originale, aprendo un po’ di più i due microfoni d’ambienza, posti a maggior distanza dalla voce, rispetto al microfono principale. Io l’ho sentita e non posso che approvare con entusiasmo l’operazione. Ma prima di ciò, eravamo ancora alla voce che non soddisfaceva Lucia Minetti. Cosa fare? Dalle orecchie di Marco cominciava ad uscire fumo causa cervello surriscaldato per trovare una soluzione che salvasse capra e cavoli (io avrei risolto il problema in un millisecondo, che i cavoli li odio), tira fuori dal cappello a cilindro l’arma totale: un compressore valvolare! Ecco, ho lanciato la bomba. Immagino già un Lincetto furibondo per la mia delazione e la delusione degli audiofili duri e puri, davanti all’uso di un compressore in una registrazione che pretende di essere tra le migliori mai realizzate. Stiamo calmi e per favore leggetemi fino alla fine, non manca molto. Intanto cominciamo a dire che, con una compressione minima (3 dB) ed il passaggio attraverso le valvole (da non amante di queste ultime lo dico a denti stretti) del fantastico Tubetech CL1-B, utilizzato rigorosamente solo sulla voce e collegato tra il pre microfonico Millennia ed il mixer Neve, quest’ultima è finalmente uguale a quella vera. Oh, bella! A cosa si deve tutto ciò? Ci ho ragionato (scusate l’immodestia) durante il viaggio di ritorno e sono arrivato ad una conclusione che mi attirerà gli strali di Marco e della metà dei cari (e pazienti) lettori che sono arrivati fino a qui: il problema è il digitale, seppure ad alta risoluzione (24/88.2 in questo caso)! Posta la qualità indiscutibile delle apparecchiature utilizzate, è innegabile che la voce di Lucia non fosse esattamente uguale a quella che si ascoltava dal vivo, e tutto ciò senza applicare alcun ritocco. La piccola compressione sembra funzionale ad eliminare una “distorsione” nei picchi della voce, che chiamo così perché tale sembra all’orecchio, pur essendo invisibile agli strumenti di misura. E poi le valvole, che dovrebbero introdurre una pur minima distorsione, ma che invece rendono la voce piena come quella vera. Insomma, nessuno scandalo in seguito all’uso del Tubetech, come non dà scandalo che anche la più bella donna del mondo metta un filo di trucco al mattino, prima di uscire di casa. Da qui in poi, un meritato (e tardivo) pranzo ed il via alle registrazioni, per scelta della produzione senza alcuna operazione di taglia e cuci. I brani sono stati registrati dall’inizio alla fine e sono state scelte le esecuzioni migliori. Nessun filtro o effetto è stato applicato alla voce o agli strumenti, quello che sentirete è esattamente come è stato suonato e cantato nello studio. E questa, credetemi, è cosa molto rara. Mi si permetta di aggiungere che trovo questo disco veramente speciale, per scelta dei brani (standard Jazz tra i più famosi), per raffinata esecuzione e per tecnica di ripresa. Ecco, ora ne sapete, spero, un po’ di più di quanto occorre per realizzare una registrazione al di sopra di ogni critica, una di quelle che tutti vorremmo ascoltare più spesso nei nostri impianti audio. E sapete anche quante ore di lavoro e quanta fatica siano necessarie per raggiungere un ottimo risultato, e Marco Lincetto ai buoni risultati ci ha abituato da tempo. Angelo Jasparro |
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