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Auditorium di Milano
Concerto del 17 Marzo 2017
McTee e Berlioz
Orchestra Sinfonica Giuseppe Verdi
​Direttore Leonard Slatkin
Soprano Lisa Larsson

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Mi spiace iniziare un report di una recensione in modo polemico, ma interpreti e programma del concerto di ieri sera, all'Auditorium, facevano presagire un tutto esaurito. Invece, tantissimi, troppi posti vuoti in platea.

Avanti così, avanti ad alimentarsi del nulla (il mondo audiofilo) e ad abbandonare le nostre radici culturali (le persone, in genere). La solita risposta “non ho tempo” non vale più; stiamo andando verso la più sciocca sterilità, pronti ad assumere supinamente tutto ciò che arriva da altrove, totalmente dimentichi della nostra bellissima, irripetibile, emozionante storia culturale.

Un vero peccato per l'occasione persa. Un piacevolissimo brano contemporaneo, una delle pagine più ispirate di Berlioz e una delle sue composizioni più geniali ed anticipatorie.

Per tacere di due calibri da novanta come il Maestro Leonard Slatkin e la soprano Lisa Larsson; scusate se La Verdi se è permessa di portare due personaggi di tale spicco a Milano.

Questa critica sarà mescolata tra la musica e l'audio e il perché sarà chiaro dopo.

Critica per modo di dire, peraltro; ieri sera da criticare non c'era assolutamente nulla, tanto bello è stato il concerto e tanto bella l'esecuzione.

La partenza è stata con il brano della compositrice statunitense Cindy McTee, contemporanea e vivente (è la moglie di Slatkin) a titolo "Circuits", ouverture per orchestra e percussioni composta nel 1990 che già nell'indicazione del tempo dà idea di una certa velleità di precisione descrittiva: quickly, with precision.

Sfruttamento sistematico delle percussioni, ostinato dei violoncelli su cui si incastonano gli interventi degli altri archi, dei legni e degli ottoni.
Divertente, piacevolissimo, nulla di atonale e di difficile da recepire, ma una composizione che effettivamente ricorda quanto può accadere nei “circuiti” di qualunque tipo siano, nella velocità e continuità del segnale che a volte sembra come incepparsi (ascoltando, mi è venuto in mente quando parte la classica esclamazione “ma come? Internet andava un attimo fa e adesso ...”).

A seguire Cleopatra, composta nel 1829 da Hector Berlioz, per orchestra e voce di soprano solista. Soprano, poi, per modo di dire perché in realtà sembra che sia composta per contralto, ma una contralto che deve avere l'estensione di una soprano.

Difficile dal punto di vista tecnico, per la solista che deve lavorare nei registri più profondi, al limite della sua tessitura e a volte anche sotto; ma ieri sera la Signora Larsson non ha manifestato alcuna difficoltà. Eppure in certi momenti, da tonalità molto basse deve salire anche di quasi due ottave spingendo il suono in avanti, verso il pubblico; operazione difficoltosa che la tecnica e il mestiere della Signora Larsson hanno padroneggiato.

Puntuale e molto “partecipe” la direzione del M° Slatkin che ha accompagnato l'interpretazione (si, interpretazione, con ogni singola parola pesata, recitata in modo magistrale e con un ottimo francese – non sempre è così), giungendo al finale, alla morte di Cleopatra, lasciando l'Auditorium nel silenzio più totale, quali il pubblico temesse di spezzare quella tensione emotiva che era stata creata sul palcoscenico.

E poi la Sinfonia Fantastica, con la sua estrema originalità compositiva, mescolata tra una specie di tradizione (nel secondo e quarto movimento) e l'innovazione espressiva del primo movimento, del terzo (nel quale compaiono a volte sonorità familiari che riportano alla Pastorale di Beethoven) e l'innovativo e a tutti ben noto ultimo movimento “Ronde du Sabbat”. Bellissima esecuzione, tesa ma mai isterica, giocata su tempi meditati, quasi lenti, che molto bene hanno esposto il lavoro di Berlioz nella sua complessità.

E qui mi rivolgo ai nostri lettori più consueti: gli audiofili. E lo faccio con una domanda: ma voi pensate veramente di sapere com'è la Fantastica dopo che l'avete ascoltata dal vostro impianto stereo? Ma sapete quante manipolazioni ci sono nelle registrazioni che usate, anche le migliori? Ma vi siete accorti che nel finale del terzo movimento i timpanisti che suonano sono quattro? Ma avete presente cosa voglia dire il passaggio dal pianissimo iniziale al fragoroso finale? Ma voi pensate che veramente le campane tubolari suonino forte come accade in disco? NO, semplicemente NO.

Dal vivo vi rendete conto di quanto ci sia di sbagliato nell'odierna idea di riproduzione musicale. Il “mi piace” non si addice al suono dal vivo (e ricordo sempre che l'avvicinamento al suono dal vivo era lo scopo dei primi tentativi della riproduzione audio di qualità, poi vanificati dalla glorificazione del “a me piace così”, fosse anche se la partitura ne esce stravolta; dal vivo il suono è violento, potente, ma mai ruffiano. I colpi di grancassa vi fanno sobbalzare sulla sedia, ma non vanno avanti a vibrare nell'aria per interminabili secondi, come accade con gli impianti audio (eppure molti dischi hanno suoni veri, ma non vengono glorificati come altri).
Peraltro noi audiofili, ieri sera, avremmo dovuto rendere un grato omaggio al Maestro Slatkin.

I meno giovani lo ricordano bene perché è stato uno dei promotori della nouvelle vague analogica degli anni 70. Ha molto registrato per una delle etichette a noi più care, la Telarc, che prima fra le prime ci ha insegnato che la dinamica poteva stare anche nei 33 giri.

Magari alcune registrazioni erano un po' manipolate per ottenere certi risultati, ma guarda caso il Bolero di Ravel, o la Carmen di Bizet, dirette proprio dal M° Slatkin, non lo erano. Mi ricordo ancora la sorpresa di quando acquistai la Carmen di Bizet che era nello stesso LP insieme con il Peer Gynt di Edward Grieg, lo stupore per quella violenza, per quella (mi si permetta) tracotanza che rendeva desueti i woofer delle pur eccellenti casse che avevo allora (Spendor BC 1; e scusate se è poco).

Perdonatemi se sono stato un po' pedante, ma al di là della bellezza della musica e lo splendore dell'esecuzione, al M° Slatkin proprio noi, audiofili intorno ai sessant'anni, qualcosa avremmo dovuto restituire.

Lieto di esserci stato; un concerto che ha rinfrancato anima, cuore e pure le orecchie.


Domenico Pizzamiglio
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