AUDITORIUM DI MILANO Concerto del 19 ottobre 2018 Ludwig van BEETHOVEN – Concerto per violino e orchestra in re magg. op. 61 Boris BLACHER – Pentagramm (prima esecuzione italiana) Wolfgang Amadeus MOZART – Sinfonia n. 35 in Re maggiore K 385 “Haffner” Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi Violino solista e Direttore Kolja Blacher
Il Maestro Blacher ha tutta la nostra incondizionata stima.
E’ giusto scriverlo sin da subito e anche spiegare perché. Non sappiamo se sia per la sua esperienza di primo violino dei Berliner Philharmoniker prima e dell’orchestra di Lucerna poi, o se per una sua propria predisposizione, ma il Maestro Blacher pare interiorizzare ogni pezzo che esegue, rendendolo in qualche modo suo, pur senza né stravolgerlo, né gigioneggiando in inutili esercizi di bravura, né esagerando con rubato, accenti dinamici o con espressività varie, che – come si è capito – a nostro avviso non aumentano il fascino della musica, ma semmai la rendono solo pesante. E’ un’opinione nostra, ma quello è.
E di quella interiorizzazione è stato prova il Concerto di Beethoven. Splendido, a tempo giusto, espressivo, elegante. Poco da dire su una esecuzione assolutamente classica eppure intensa, fatta di ottimi attacchi, di suoni pieni e affascinanti. L’attenzione del Maestro Blacher si è manifestata anche nella cadenza da lui scritta per il primo movimento del concerto; infatti, non solo sono stati ripresi e variati i temi del movimento, ma sono stati aggiunti i timpani a dare ritmo alla cadenza; una scelta assolutamente coerente perché l’uso dei timpani, per come il concerto è stato scritto da Beethoven, è una parte caratterizzante della composizione.
Ed anche nella sinfonia di Mozart, musica a piene mani. Intanto il primo movimento, veloce ed espressivo, come suggerito da Mozart stesso che in una lettera al padre si riferì a quel movimento affermando che andava suonato come se fosse stato fuoco; quindi non solo un tempo risoluto, ma anche un suono pieno ed in qualche modo violento. Idem per gli altri tre movimenti, tutti tenuti su tempi molto vivaci; ma in ogni caso una concertazione accurata, una esecuzione senza sbavature e una partecipazione attiva (il Maestro Blacher sedeva al posto del primo violino) che han dato un senso di gioia del fare musica che raramente si ascolta.
Il brano del padre del Maestro Blacher, Briss Blacher, ha rappresentato la nota nuova del concerto; una composizione per 16 archi, trattata su basi ritmiche prodotte dai musicisti stessi che noccavano sulle casse armoniche dei loro strumenti e nella quale ogni strumentista svolgeva indifferentemente il ruolo di strumento solista e di insieme. Una visione musicale che ha proiettato gli ascoltatori nelle avanguardie degli anni sessanta e settanta del secolo scorso in modo efficace.
Aspettiamo ancora il Maestro Blacher in Auditorium, magari per più di un concerto l’anno. La sala non era piena, ma gli applausi hanno dato l’impressione che ci fosse il tutto esaurito.