McIntosh C220 - MC302
Quasi 65 anni di vita hanno portato McIntosh Laboratory, Inc. fino ai giorni nostri, attraverso una storia di successi ininterrotti. Impossibile trovare altri esempi nel settore dell’alta fedeltà, probabilmente. Penso a JBL, che ha una data di fondazione ancora precedente ma che per quasi 20 anni era finita in una sorta di oblio, dal quale si è per fortuna risvegliata da qualche anno. Gli altri marchi gloriosi degli anni ‘60 e ‘70 sono ormai tristemente preda dei cacciatori di vintage e null’altro. McIntosh è un marchio che affascina, impossibile negarlo. Affascina tutti, non solo i suoi supporter. Anche chi finge indifferenza, alla fine, non fa che assumere l’atteggiamento snob che a volte caratterizza gli “audiofili tifosi” (brutta razza!). Chi ha vissuto per mezzo secolo, come questo vostro umile servitore, ha visto centinaia di meteore passare attraverso il firmamento dell’hi-fi ma ricorda il desiderio di possesso di quegli enormi amplificatori color argento e con le maniglie, montati in possenti rack all’ingresso dell’Auditorium 11 di Milano. Oggetti di desiderio che si accompagnavano spesso ad alternative che ora non esistono più. Chi non ricorda i grossi Harman Kardon? I SAE? I Sansui della serie BA? Tra l’altro, erano proprio gli amplificatori di potenza a stimolare le fantasie delle giovani generazioni, col loro aspetto possente e la capacità di far suonare forte i diffusori. Il preamplificatore era visto come una scomoda necessità, per poter rendere trattabile il segnale proveniente dal giradischi o dalle altre sorgenti e per l’opportunità di registrare cassette o nastri a bobina. Poco più di un centro di controllo, del quale spesso non percepivamo l’importanza ai fini del suono che avremmo voluto ottenere. Tanti anni sono passati da allora, centinaia di marchi sono nati e scomparsi, vecchi o nuovi che fossero. McIntosh ha continuato ad essere presente in tutti i mercati mondiali, con una gamma di prodotti estremamente completa, tanto da poter accontentare ogni appassionato di musica che volesse metterseli in casa. Beh … quasi ogni appassionato, visto che i prezzi non sono mai stati troppo popolari. Anche in questo mercato esistono tendenze e mode, inutile negarlo. Le valvole vanno e vengono, i transistor fanno loro da contraltare. La carta dei coni degli altoparlanti è sostituita da tutti i materiali possibili ed immaginabili, per poi tornare di prepotenza nelle case di chi la preferisce alle alternative tecnicamente più avanzate. Il mercato italiano ha sempre considerato McIntosh un mito intramontabile. Degli altri Paesi non posso parlare, non conoscendoli altrettanto a fondo. Stiamo parlando di un marchio che è “anticiclico” per antonomasia, che non conosce crisi o boom repentini di vendite, e che di recente è stato acquisito da un fondo di investimento italiano ed è entrato a far parte del gruppo Fine Sounds, in compagnia di Sonus Faber, Wadia ed Audio Research e che, da solo, impiega circa 150 dipendenti, tutti nella fabbrica americana di Binghamton.
Da tempo avevo la curiosità di provare queste macchine nel mio impianto. Non faccio mistero del fascino che queste macchine hanno sempre esercitato su di me e neanche dei luoghi comuni che hanno sempre affollato i miei pensieri ogni volta che se ne parlava. Luoghi comuni parzialmente sfatati, non molto tempo fa, dopo un approfondito ascolto dell’integrato MA7000, presso il nostro Domenico Pizzamiglio, in occasione di una sua recensione per una rivista cartacea. E poi, grazie ad un po’ di esperienza nel settore, ormai sappiamo bene che si possono progettare componenti audio belli e ben suonanti allo stesso tempo, che le due cose non sono necessariamente in contrasto. E’ stato quindi con la massima curiosità che ho mandato una mail all’importatore italiano di McIntosh, chiedendo una coppia di amplificatori in prova. La risposta non si è fatta attendere ed ho ricevuto conferma che il preamplificatore C220 ed il finale MC302 erano sulla strada della mia sala d’ascolto. Confesso una certa preoccupazione, durante l’attesa, per la paura che il suono potesse non essere all’altezza della qualità e del lusso percepibile ad un semplice sguardo verso queste elettroniche. Ci sono voluti 3 minuti perché fosse immediatamente dissipata ma ne parleremo dopo avervi presentato i due apparecchi.
Il C220 è un
preamplificatore molto completo, se ci atteniamo agli standard progettuali dei
nostri giorni. Le 4 grosse manopole comandano i controlli di tono (alti e
bassi), volume e selezione degli ingressi. Abbiamo poi l’uscita cuffia ed una
serie di tasti neri, rispettivamente assegnati a: bypass controlli di tono,
mono, rec monitor, setup, mute e selezione delle due uscite per ulteriori
amplificatori di potenza, dopo quello principale. Infine, il tasto rosso di
accensione. Nel centro del pannello troneggia un grosso e perfettamente
leggibile display con caratteri di colore azzurro che indica l’ingresso
selezionato ed il livello del volume. Immancabile il classico marchio
illuminato di verde.
Molto affollato il
pannello posteriore che vede: ingresso IEC, fusibile dell’alimentazione, 3
uscite sbilanciate ed 1 bilanciata verso i finali, uscite tape out, le prese
per i trigger di accensione di ulteriori apparecchi della Casa, 2 ingressi
bilanciati ed 8 sbilanciato, compreso quello phono. Già, perché questo
preamplificatore accetta un giradischi dotato di testina MM. Dobbiamo
brevemente accennare alle possibilità di programmazione che l’elettronica
inserita in questo amplificatore consente: Controllo del bilanciamento, del
livello di ingresso delle varie sorgenti, assegnabile indipendentemente ad ogni
ingresso, assegnazione dei nomi ai vari ingressi, luminosità del display ed altre
opzioni. Si può persino decidere se lasciare accesi o spenti i LED verdi che
illuminano le 4 valvole 12AX7A montate all’interno; le griglie del coperchio
del pre permettono di vederle. Interessante la possibilità di spegnere le
valvole che amplificano la sezione phono, quando non utilizzata. Il telecomando
è un multifunzione, adatto a pilotare un’intera catena di apparecchi Mc (ma
anche programmabile per altri marchi) ed è quindi affollatissimo di tasti. Il
suo aspetto è un po’ economico ma almeno ha la caratteristica dei tasti
illuminati una volta in uso.
L’apparecchio si presenta solido e ben rifinito, come da caratteristica
della Casa americana, e pesa quasi 10Kg.
L’amplificatore di potenza, chiamato MC302, è un 300 W RMS per canale. Il frontale ospita due grosse manopole, dedicate rispettivamente all’accensione degli splendidi VU meter azzurri e della scelta della modalità del loro funzionamento: misurazione continua della potenza di uscita o blocco momentaneo sui picchi. L’altra manopola è l’interruttore di accensione. Il resto della descrizione lo lascio alla fotografia.
Il retro presenta invece 8 massicci morsetti d’uscita proprietari, che accettano cavi in qualsiasi modo terminati, da utilizzare a seconda dell’impedenza dei diffusori utilizzati. I trasformatori d’uscita tradizionalmente impiegati anche dai Mc a stato solido permettono infatti di emettere la stessa potenza su 2, 4 o 8 Ohm. Troviamo poi l’ingresso per il cavo di alimentazione e quelli di segnale, bilanciati e sbilanciati. Cosa dire del modo in cui questi apparecchi si presentano? Un misto di austerità e lusso, linea classicheggiante e lontana da certe realizzazioni kitsch che sembrano essere di moda ultimamente. Forma e funzione, più un tocco di classe che permette l’inserimento di queste elettroniche in tutti i generi di arredamento. Abbiamo inserito i McIntosh nel seguente impianto: giradischi Basis 2001, braccio Graham 2.2, testina Scan Tech Lyra Helikon, cavo phono: LAT International XLR, pre phono: Einstein "The Turntable's Choice" bilanciato, cavo tra pre phono e preamplificatore: Transparent Super XLR, lettore CD/SACD dCS Puccini+U-Clock Puccini, cavo tra lettore digitale e preamplificatore: MIT Oracle MA Proline, preamplificatore: MBL 4006, cavo tra pre e finali: MIT Oracle MA-X Proline, finali: Bryston 7B ST, diffusori: JBL 4350B, cavi di potenza: MIT Magnum MA, cavi di alimentazione: MIT Shotgun AC 1, Black Noise Pearl ed altri auto-costruiti, filtro di rete: Black Noise 2500.
I due apparecchi sono arrivati nuovi, quindi abbiamo dovuto rodarli. In aperta polemica con coloro che dicono che le elettroniche non abbisognano di rodaggio, informo tutti i lettori che un centinaio di ore sono utili a cambiare il suono inviato ai diffusori. E come cambia! Inizialmente ho ascoltato un suono chiuso in alto e molle in basso, che mi ha subito ricordato il cinema-teatro dove ho assistito di recente alla prova generale di un concerto di musica sinfonica; suonava esattamente in quel modo. Dopo le prime cinque ore (all’incirca, non mettetevi lì col cronometro) … il contrario. Basso asciuttissimo ed alti quasi al limite del fastidio. Dopo una quindicina di ore la correttezza tonale appariva ripristinata, tanto da farmi prendere lo in mano smartphone per scrivere ad un amico che queste macchine rappresentano l’antitesi di tutti i luoghi comuni e leggende metropolitane sul suono dei McIntosh. Ancora durante il rodaggio, ascoltando il DVD dei Genesis “When in Rome”, mi sono accorto per la prima volta, in “Afterglow” della notevole differenza di suono tra i rullanti di Chester Thompson e Phil Collins. Quello di quest’ultimo suona più secco ed acuto, avendo il fusto più basso. Una volta rodate le macchine, posso cominciare gli ascolti critici ed il primo CD che utilizzo è quello di Antonio Placer, Siria (Harmonia Mundi). E’ un album di storie, scritte ed interpretate dal poeta e cantautore gallego. I brani sono eseguiti con due chitarre ed un basso. La registrazione, come da tradizione Harmonia Mundi, è ottima, seppure con un basso molto presente, che spesso suona gonfio e non precisissimo. Scampato pericolo: con questi McIntosh va tutto alla grande. Le corde più spesse della chitarra, quelle metalliche, non hanno mai il sopravvento su quelle in nylon, più sottili. Lo strumento appare delle giuste dimensioni ed il suo equilibrio tonale non vira mai verso suoni scuri. La voce di Placer è letteralmente splendida, al livello delle migliori elettroniche ascoltate in tanti anni. Wish You Were Here (Pink Floyd), denota un’ottima gamma bassa, una medio-alta in leggera evidenza e quella acuta un pochino arretrata, tanto da sottrarre un po’ di corpo ai piatti, pur mantenendo una risoluzione decisamente ottima in tutti i passaggi. I transienti di Welcome to the Machine sono presentati con sufficiente dinamica e leggermente addomesticati; niente di preoccupante, se si valutano i pregi di una gamma bassa estremamente profonda e ben controllata o di quella media, che gode dei pregi propri di un ottimo circuito a valvole. Volendo approfondire gli argomenti velocità e dinamica delle elettroniche sotto torchio, prendo un SACD Telarc “Jacques Loussier Trio - The Best of Play Bach“. Si tratta di un disco che artisticamente, a mio parere, ha poco da dire ma la registrazione è tra le cose migliori di Telarc. Nel brano n. 4, il Presto del Concerto Italiano, ascolto i colpi di rullante più naturali e realistici che io ricordi, salvo che dal vivo. Un mix perfetto tra il suono della pelle e quello del fusto del tamburo. Sinceri complimenti, quindi, a Telarc ed a McIntosh. Rilevo, per la serie “nessuno è perfetto”, i piatti della batteria ancora appena arretrati, sebbene riprodotti col giusto colore. Imponente e molto bello il pianoforte della “Toccata e Fuga”, lontano da innaturali ma spesso frequenti enfatizzazioni in gamma medio-bassa. Provo ancora la velocità dell’accoppiata americana col CD “Appearance” dei Triplicated (Organum), una registrazione coi transienti più terribili che si possano immaginare. Le elettroniche passano l’esame con un voto lusinghiero. Non raggiungono le vette di velocità e cattiveria della mia amplificazione titolare ma non sfigurano. In compenso, il sax ed il contrabbasso del trio coinvolgono l’ascoltatore, mentre le percussioni dai suoni acuti sono, al solito, leggermente ambrate. L’Officium di Jan Garbarek con l’Hilliard Ensemble (ECM), testimonia di un’ottima risoluzione nella riproduzione del sax, con le vibrazioni dell’ancia in giusta evidenza e le voci collocate molto bene nello spazio dell’Abbazia che ha ospitato la performance. Verso il minuto 15 del primo brano di “Inside Out” (ECM) del trio Jarrett, Peacock, De Johnette, le spazzole del batterista sfiorano appena la pelle del rullante. I McIntosh risolvono perfettamente questo segnale a bassissimo livello. I tre strumenti del gruppo, registrati con rara maestria dall’etichetta tedesca, sono riprodotti con la massima naturalezza, velocità e buon contrasto dinamico. Cosa dire, per riassumere il suono di queste elettroniche? Userei un aggettivo che può includere molte sensazioni: “ammaliante”. Già, proprio così. Senza escludere che una parte di questa malìa si dovuta a come queste macchine si presentano, direi che è perfettamente comprensibile come molte persone s’innamorino del suono McIntosh e non lo abbandonino più. Non è un suono freddo e rigorosamente neutro ma neanche il suono colorato ed interpretativo di alcune elettroniche a valvole (e non solo) di qualche “guru” giapponese (e non solo). E’ evidente che qui si debba spiegare chiaramente al lettore se un apparecchio restituisca ciò che c’è nel disco in modo fedele. Com’è evidente che la parte dell’eroina di un’opera debba essere cantata nel rispetto di ciò che il compositore ha scritto. Quindi: Callas o Tebaldi, tanto per prendere due nomi a caso? Preferenze, gusti, ma nessuno può affermare che una delle due non sapesse fare il suo mestiere alla perfezione. E così queste elettroniche: hanno il loro suono, il loro modo di interpretare la musica. Io so solo una cosa: che, prima o poi, qualche elettronica McIntosh entrerà a far parte del mio impianto, per le ragioni esposte ma anche solo perché al cuore non si comanda ed io con loro sono stato molto bene … Angelo Jasparro Distribuito da: Mpi Electronic Srl Prezzi: C220 euro 5.000,00 MC302 euro 8.400,00 |
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