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McIntosh XRT 22: Il Quartetto
E’ uno di quei giorni strani, quando succedono le cose più inaspettate, che mi vede accompagnare Domenico Pizzamiglio, amico e collega di scritti “ad alta fedeltà”, presso un negozio di Gallarate del quale abbiamo già parlato: Pieffe Elettronica. Lui doveva ascoltare una coppia di diffusori Audio Note, dei quali vi parlerà se e quando avrà voglia, io non avevo voglia di lavorare e mi sono preso un pomeriggio libero. Arrivati in loco, dopo i convenevoli di rito e mentre Domenico approfondisce la conoscenza coi suoi futuri diffusori, io curioso nelle varie sale d’ascolto dell’ampio negozio. Dopo aver sondato le caratteristiche sonore di una coppia di grosse Cerwin Vega! XLS215, in altra sala m’imbatto in un mito di (quasi) gioventù: una coppia (si fa per dire, ché in effetti di tratta di 4 pezzi) di McIntosh XRT22.
Comincio ad aggirarmi con aria impaziente per il negozio, cercando il modo di dire a Marco, il titolare, che mi sarebbe piaciuto ascoltarle. Detto fatto: il suo collaboratore porta in sala un finale McIntosh MC2500 d’epoca, visto che l’amplificazione già presente non poteva pilotare simili bestie assetate di Watt. Bastano pochi secondi, che diventeranno pochi minuti, per capire che ci siamo trovati al cospetto di due fuoriclasse. Messe in ambiente come potete vedere dalle foto e cioè non per essere ascoltate, hanno mostrato un basso incredibile per estensione e potenza (decisamente troppo per la sala in ci si trovavano) ed una gamma acuta da riascoltare una volta posizionate a dovere. Una “Toccata e Fuga” di Bach, suggerita da Marco, ha sfoderato un pedale d’organo che ci ha praticamente sollevati di peso dal divano.
McIntosh XRT22
Secondo voi cos’ho fatto? Esatto, sono tornato dopo pochi giorni col furgone e me le sono portate a casa per ascoltarle con più calma, visto che c’era anche la prospettiva di poterle acquistare. Nel frattempo ho potuto approfondire molte delle loro caratteristiche e la loro storia, grazie al sito dove il loro progettista in persona, Roger Russell, spiega le caratteristiche del progetto e le procedure che hanno portato alla loro nascita e messa in produzione presso lo stabilimento McIntosh. Non staremo quindi ad approfondirne le caratteristiche realizzative e tecniche, che potete trovare nel sito di Roger Russell, che ringraziamo per averci concesso di poter pubblicare le sue fotografie e parti del testo del suo articolo.
Come dicevamo prima, si tratta quindi di 4 pezzi. I cabinet bassi e larghi contengono ognuno, 2 woofer da 12” di produzione McIntosh ed un midrange, anch’esso McIntosh, da 8”. Il crossover, il cui prototipo potete vedere nella foto, taglia a 150 Hz il primo woofer, a 250 il secondo ed a 1500 Hz il midrange. Oltre i 1500 Hz intervengono le due colonne da 23 tweeter da 1” a cupola morbida, realizzati dalla Philips su specifiche McIntosh. Le colonne sono collegate all’unità bassi attraverso un cavo proprietario. La risposta in frequenza dichiarata è 20-20000 Hz e la potenza applicabile è di 250 W RMS, con picchi di 500 W. Sensibilità: 87 dB. Le XRT22 sono state prodotte dal 1986 al 1993 e costavano, negli USA, 9.100 USD. I supporti per le colonne, che sono provviste di un gancio per essere eventualmente appese al muro, erano venduti a parte. Per maggiori informazioni vi rimando quindi al sito di Roger Russel, che tratta molti argomenti decisamente interessanti nel campo dell’elettroacustica. Sono bastati pochi minuti d’ascolto, ancora in negozio, perché cominciassimo a chiederci (Domenico ed io) il perché dello scarso successo di questi diffusori, almeno qui in Italia. Abbiamo pensato all’elevato prezzo di vendita ma, ragionandoci, mi chiedo come mai alcuni “mostri” vintage al livello del JBL Paragon, delle grosse Tannoy o delle Altec, per esempio, siano ancora ricordati ed ambiti, mentre queste XRT22 sono cadute nel dimenticatoio. E’ vero che i diffusori McIntosh, al contrario delle elettroniche, non hanno mai goduto di grande stima qui da noi e, alla luce del risultato fornito dagli ascolti, non riusciamo sinceramente a spiegarci il perché, se non magari per la difficile collocazione in ambiente, della quale parleremo subito dopo aver “sfrattato“ le JBL 4350B, due giocattoli da quasi 120 Kg cad. Come dicevo a proposito dell’ascolto in negozio, la gamma bassa delle XRT22 è esuberante, oltre che da vero “massaggio ai visceri”. Ci vuole quindi una stanza adatta e la possibilità di posizionarle nella maniera migliore, al fine di non eccitare risonanze dell’ambiente. Su un forum americano ho letto di un possessore che, pur avendo una stanza di dimensioni notevoli, ha dovuto acquistare un equalizzatore per ridurre un po’ l’esuberanza dei bassi.
McIntosh XRT22
La mia stanza, invece, è strana e sovverte tutte le più comuni teorie sulla risposta degli ambienti. La superficie supera di poco i 20 mq ma grazie ad alcune caratteristiche progettuali, tende a non avere risonanze in gamma bassa ed anzi, ad assorbire molta energia. Quindi, sono partito dal posizionamento che in teoria doveva sconquassare l’ambiente coi bassi: gli angoli della parete frontale. Ebbene: sorpresa! Niente bassi, zero! Non solo, il preamplificatore era ad ore 3 mentre pilotava i Bryston da 400 W l’uno e la pressione sonora non era certo quella che mi potevo aspettare. Mai perdersi d’animo: è bastato avanzare le unità dei bassi di mezzo metro per recuperare parte degli splendidi bassi ascoltati a Gallarate. Da lì in poi, è stato tutto un fine tuning, fatto di piccoli spostamenti rispetto alla parete di fondo e quelle laterali. Dopo circa mezza giornata di lavoro avevo trovato la posizione … dei bassi. Mancavano le torri dei tweeter e devo dire che la cosa mi preoccupava leggermente, per le oggettive difficoltà di messa in fase delle due unità separate e per lo spazio non troppo abbondante a disposizione. Partito dalla posizione consigliata da Roger Russel, e cioè con le colonne all’interno, mi rendo subito conto che l’immagine è troppo schiacciata al centro. Evidentemente il progetto prevede una maggior distanza tra i diffusori. Quindi, le passo all’esterno, con l’immediato effetto di allargamento della scena e del fronte d’ascolto che non prevede più le pareti della stanza … incredibile. Però non bastava ancora. A che altezza posizionarle, rispetto agli altri altoparlanti? Il sito di Russel non lo dice e non ho il manuale d’istruzioni, dando per scontato che ne parli. Comincio a riflettere sul fatto che se le colonne possono essere appese a parete e le unità bassi appoggiate alla stessa, la corretta fase si ottiene allineando la colonna al fondo del mobile … no, non funziona. Forse perché le colonne si trovano all’esterno? Provo ad orientarle, oriento anche l’unità bassi verso il punto d’ascolto ma non risolvo. Non ci siamo con la risposta in fase. C’è qualcosa di “scollato” nel suono. Provo col CD di Roger Waters “Amused to Death” ma il famoso cane abbaia davanti a me e non di fianco. Non va. Alla fine, dopo un’altra mezza giornata di estenuanti prove e spostamenti, trovo la sistemazione migliore con le unità tweeter una ventina di centimetri davanti a quelle dei woofer e leggermente sovrapposte alle stesse, tanto da non coprire l’emissione del midrange. Il cane si avvicina sulla destra. Forse non abbastanza ma non siamo gente da effetti speciali ed il suono globale è ottimo, decisamente. Più di una volta mi sono chiesto (e non solo io), se questi ultimi 20 anni siano passati invano, nel campo dell’elettroacustica. Nel descrivervi il suono di questi McIntosh farò il paragone coi miei diffusori di riferimento, i JBL 4350B, senz’altro più conosciuti. Se cominciamo dalla gamma bassa, non c’è storia: le XRT22 mettono KO le JBL, per profondità e quantità. E, sempre stanza d’ascolto permettendo, non hanno niente da invidiare alle californiane neanche per precisione, pur avendo un suono più morbido e forse meno vicino alla realtà. Per quanto forte li si faccia suonare, è incredibile come non vadano mai a sporcare le voci o i medi in generale. Mai sentita una cosa così. La gamma media, invece, non è a livello degli strepitosi driver a compressione di JBL. Prevedibile, del resto. Credo che ad oggi non ci sia midrange a cono che possa avvicinare la precisione, cattiveria, velocità dei driver 2240, caricati dalle piccole trombe. Della gamma acuta possiamo dire che se timbricamente non è all’altezza delle JBL (ma non è lontana), il fatto di essere diffusa da colonne così alte, ricrea un soundstage insuperabile. I dischi incisi in teatri o Chiese, ad esempio, commuovono dal primo istante in cui cominciano a suonare. Le XRT22 vi trasportano immediatamente in qualsiasi luogo, anche il più grande. Non suona solo tutta la parete frontale, questo succede anche con le JBL, suona tutta la stanza. Anzi, suona … tutto, che la stanza non c’è più. Un effetto unico, sembra quasi un ascolto in multicanale, se non fosse che da dietro non arrivano suoni. Buona la dinamica ma bisogna spingerle, e forte. I 250 W li vogliono tutti, se si vuole ascoltare a livelli “live”, o quasi. Si possono ottenere buone pressioni sonore ma a livelli raggiungibili da molti concorrenti attuali. Hanno un suono di enorme fascino, decisamente più “addomesticato” rispetto ai “selvaggi” monitor JBL ma non riesco a vederli come alternativa. Bisognerebbe possedere entrambi e decidere quali ascoltare a seconda di come ci si alza al mattino. Per fare ciò, ci vuole una parete di almeno 5 metri, in modo da poter posizionare entrambi i diffusori. Io, quella parete, non ce l’ho ed ho dovuto fare una scelta. Credetemi, non è stato per niente facile ed ancora oggi, dopo una settimana dalla partenza delle McIntosh, sento la loro mancanza. Ho scelto le JBL perché al loro suono quasi aggressivo ma rigoroso non potrei rinunciare. La cosa che mi manca di più delle XRT22 è il bellissimo basso. Sto ponendo rimedio a questa mancanza provando dei subwoofer, vediamo se risolvo. Ho persino pensato di tenere le Mc ed alternarle alle JBL ma trasportare dentro e fuori dalla stanza i sistemi è un lavoro improbo ed alla fine uno dei due diffusori sarebbe rimasto a prendere umidità, danneggiandosi per il mancato uso. Ho quindi, a malincuore, lasciato partire le XRT22; è giusto che cantino da un appassionato che le possa godere tutti i giorni, mentre io avrei dovuto accantonarle spesso, anche solo per poter provare amplificazioni di bassa potenza. Ecco, ho voluto raccontarvi questa storia per ricordare ai cinquantenni e per far conoscere ai più giovani un diffusore che, ingiustamente, non è conosciuto come dovrebbe. E quando qualcuno, come a volte capita, vi dice che McIntosh non faceva buoni diffusori, rispondetegli che è vero. Li faceva eccezionali …
Ringrazio ancora una volta Marco Pavan, di Pieffe Elettronica, per aver permesso questa prova. Angelo Jasparro Il commento di DomenicoCi sono esperienze e sensazioni che non si dimenticano.
Anno 1979, verso la fine, da Stievani, a Torino, nell’ampia sala che aveva in via Cernaia. Entro per ritirare le mie Magneplanar nuove e vedo due strani quadri lunghi e stretti che mi guardano dal fondo della stanza; il logo McIntosh li qualifica inequivocabilmente come prodotti per la riproduzione di musica, ma vedere quelle due file di tweeter ricordo mi fece un po’ impressione. Già le MG II a che stavo portando a casa non erano basse; quelle due colonne erano molto più alte. In quell’occasione si dimostravano degli amplificatori americani che stavano facendo parlar molto bene di sé: si chiamavamo Threshold, nome allora emergente ed oggi ormai parte della storia recente dell’audio. Ricordo che ero insieme ad un ex commilitone, divenuto amico e stavamo ascoltando musica per pianoforte. Ricordo anche che l’amico Alberto, ad un certo punto, mi disse “peccato il pianista abbia la forfora; guardala lì, sul frac” … Al momento non capii, ma poi realizzai che si riferiva al realismo della riproduzione. In effetti l’insieme faceva parecchio impressione; non mancava nulla, per i tempi e per le tecniche di registrazione di allora. Ricordo che mentre mi imballavano e mettevano in auto le Maggies, Alberto ed io restammo lì come due “mammalucchi” fissi ad ascoltar musica con le McIntosh, che erano allora le XRT20. Esperienza che posso dire di aver riprovato da Angelo, quando abbiamo messo le Quattro Stagioni di Vivaldi nell’esecuzione del Drottningholm Ensemble (BIS) e mi sono ritrovato il violino di Niels-Erik Sparf davanti, a una decina di metri di distanza; alto, timbricamente vero, dinamicamente in nulla trattenuto, con le risonanze ambientali che restituivano semplicemente una sensazione di realtà. Un accenno di pelle d’oca da emozione, uno sguardo quasi incredulo in direzione di Angelo e poi via di ascolti. Ora, pur tenendo conto dell’evidente maggior facilità di gestione della grande dinamica da parte delle JBL che sono poi risultate preferibili soprattutto nei generi più “concitati” e rockettari, e’ da dire che l’ascolto di quei sistemi McIntosh, pur se vecchi di ormai più di cinque lustri, dà un’emozione che passa attraverso una fedeltà timbrica ed una riproposizione scenica piuttosto rare. La grandezza di un organo a canne è impossibile da riprodurre in un ambiente domestico; ma è certo che la possanza del basso delle XRT 22, unita all’altezza della sezione acuti e quindi l’altezza del fronte sonoro, inganna molto bene, avvicinando all’evento più di quanto non riescano a fare altri sistemi. Come anche la capacità di gestire ampie dinamiche senza grande fatica, così da restituire un’orchestra sinfonica credibile o ricreare davanti a voi la voce del Boss Bruce Springsteen. Posso dire che con le piccole compagini, l’impressione di realtà, ad occhi chiusi, è stata la più concreta che ho ascoltato sino ad oggi. E’ stato faticoso trasportarle sino in sala d’ascolto, ma ne è valsa la pena. Della serie “oldies but goldies”, un ritorno del passato quanto mai apprezzato e gradito. Un ritorno alla gioventù che non ha intaccato – e semmai ha aumentato – la sensazione di meraviglia provata nell’anno 1979. Quando un prodotto è di buona qualità, di buona qualità resta anche dopo trent’anni. Domenico Pizzamiglio |