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Pensieri dal mondo ...

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Acustica degli ambienti d'ascolto​
Prima parte
​Dimensioni dell'ambiente e risonanze modali

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Turbulence - Voice of Space

Lo Spazio fa sentire la sua voce attraverso Turbulence

Riuscire a rappresentare le ricerche scientifiche più all’avanguardia nello studio dei moti turbolenti, creando un’esperienza artistica polisensoriale che coinvolga totalmente l’osservatore.
Su questo principio si basa Turbulence - Voice of Space, un progetto realizzato dall’andriese Giannandrea Inchingolo, dottorando in fisica dei plasmi dell’Università di Lisbona.

Turbulence VoS parla appunto di turbolenza, un moto caotico delle particelle o degli elementi che costituiscono un fluido o, come nella ricerca di Giannandrea, un plasma. Il plasma è un particolare stato della materia decomposta nei suoi elementi più primitivi di ioni ed elettroni che si trova praticamente ovunque nell’Universo: dal sole a tutte le stelle nello spazio, ma anche a fenomeni che conosciamo più da vicino come i fulmini o le aurore boreali.

Nella sua ricerca, Giannandrea si occupa proprio di studiare il moto turbolento di questo plasma.
Da qui, nasce l’idea di trasformare questi studi in elementi artistici più accattivanti, che permettano di offrire un’esperienza anche sensoriale al regno dei plasmi turbolenti a chi vi si approccia per la prima volta, senza avere necessariamente una preparazione scientifica o specialistica in questo argomento.

Le forme artistiche scelte sono tra le più disparate, tra immagini ed esperienze in realtà virtuale, ma come dice il nome stesso del progetto, la parte sonora risulta essere una parte fondamentale.

Grazie ad una collaborazione con il professor Joseph Paradiso del MIT Media Lab, il prestigioso Massachusetts Institute of Technology di Boston, Turbulence trasforma i dati prodotti dalla ricerca di Giannandrea in una traccia musicale, attraverso l’uso di un sintetizzatore logico modulare realizzato da Joe.

Durante i loro esordi negli anni ’60 e ‘70, i sintetizzatori modulari hanno rappresentato un’avanguardia nella creazione di musica elettronica in quel periodo e dopo molte decadi essi stanno venendo riscoperti con entusiasmo ed in un certo senso reinventati dalle attuali giovani generazioni di musicisti elettronici. Su questa scia si basa l’ultima installazione di Joe, che ha all’attivo più di 45 anni di esperienza nella creazione, realizzazione ed uso di sistemi elettronici musicali di vario tipo, chiamata appunto Re-Synthesizer, un’installazione che è stata attiva dall’Aprile all’Agosto del 2018 al MIT e con cui Giannandrea ha avuto la possibilità di interagire di persona.

Per l’occasione, Joe ha riutilizzato il suo sintetizzatore logico modulare “fatto in casa” tra il 1974 e il 1987. Un sintetizzatore modulare, di regola, non ha alcun tipo di pre-settaggio: di conseguenza ogni suono realizzato deve essere ottenuto manualmente attraverso l’uso di patch che colleghino i vari moduli. Con circa 150 differenti moduli usati e più di 700 connessioni tra le varie unità logiche, il sintetizzatore di Joe è probabilmente uno dei più grandi sintetizzatori modulari mai realizzati.

A fare da sorgente per questi differenti moduli sono proprio i dati scientifici della ricerca di Giannandrea, insieme ad una serie di altri dati provenienti dagli esperimenti di fisica dei plasmi del laboratorio Alcator C-Mod del MIT. Le forme d’onda di questi dati sono stati caricati all’interno di un vettore di campionatori Eurotrack che potevano essere controllati dai processi attivi nel sintetizzatore. Mentre la maggior parte di questi segnali venivano usati come sorgenti audio dirette, alcuni venivano adattati come inviluppi di modulazione.

Il prodotto finale è una complessa e non ripetitiva traccia musicale, andata avanti ininterrotta per tutti i 5 mesi dell’installazione, ed in cui i diversi processi fisici che avvengono durante le simulazioni e gli esperimenti diventano non solo i differenti “strumenti” di un’orchestra elettronica, ma anche i direttori attivi ed espressivi di come la turbolenza manifesta, in questo senso, la sua voce.

Ascoltando questi suoni, si viene immediatamente colpiti. Questi non sembrano un blando rumore digitale, ma invece sembrano vivi - qualche strano tipo di serpente a sonagli smorzato da una parte, forme di vita su uno strano pianeta d'acqua dall’altra, forse altri campioni evocano la sala di controllo a malapena scrutabile di un'astronave aliena.

Queste immagini si sposano perfettamente con il progetto Turbulence: le sensazioni di essere avvolti da un ambiente alieno e non familiare risultano essere una perfetta colonna sonora per l’esplorazione del mondo dei moti turbolenti all’interno dei plasmi, un regno inaccessibile e spesso incomprensibile ai più. Turbulence prende queste sensazioni, stimolate non solo acusticamente ma anche visivamente e fisicamente attraverso una completa ed interattiva esperienza in realtà virtuale, e ne fa il suo elemento di forza per la spiegazione dei processi turbolenti che le generano.

Non resta altro da fare, quindi, che immergersi all’interno di Turbulence - Voice of Space e fare proprie queste sensazioni ed esplorare il mondo di dei plasmi.

Per averne un assaggio e dare un’occhiata a ciò che Giannandrea ha creato, con tanto di estratto di 3 minuti della colonna sonora, potete visitare il sito www.giannandreainchingolo.com/turbulence

Se invece volete approfondire il funzionamento del sintetizzatore di Joe Paradiso, potete trovare maggiori informazioni sul sito http://synth.media.mit.edu

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Vince Genovese

Intervista a Michael Kelly, di Aerial Acoustics

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AA: La prima volta in cui ho sentito parlare di Aerial Acoustics fu quando, in Stereophile, lessi la recensione del modello 10T, che credo fosse il primo modello della tua produzione. C'è una sensibile differenza tecnica tra le 10T e le attuali 7T, che abbiamo recensito QUI. Come mai questo cambio?

MK: Il successore dell 10T è stato il modello 20T, che abbiamo tenuto in produzione per diversi anni e presto ci sarà un nuovo modello che si posizionerà tra la 7T e la 20T. Si chiamerà 12T ed arriverà sui mercati a breve. Avrà due cabinet; stiamo studiando diverse realizzazioni per ognuno di essi, e si avvicinerà alle vecchie 10T. 
L'attuale serie 7T ha prestazioni migliori rispetto alle precedenti 10T, pur se appare completamente diverso, e chi ricorda le 10T pone spesso questa domanda. 
Questo ci ha stimolato a realizzare un modello di fascia superiore alle 7T e la nuova 12T ricorderà le 10T.



AA: Userai nuovamente il tweeter a nastro o non più? 
MK: Sfortunatamente, non più. Si tratta di un tweeter meraviglioso, quello che suona meglio alle alte frequenze, così delicato e puro. Il diffusore che arriverà, il 12T, impiegherà un tweeter in Berillio che è davvero ottimo. Il tweeter a nastro che abbiamo impiegato nelle 20T è il migliore che abbia mai ascoltato, ma è ormai fuori produzione definitivamente. In ogni caso, il tweeter in Berillio che stiamo utilizzando non crea problemi e sarà altrettangto valido. 


AA: Cosa ci puoi dire del mercato dell'audio? Quali sono ke piazze migliori per Aerial Acoustics?
MK: Stiamo lavorando molto bene negli USA, il nostro mercato locale, e questo per noi è molto importante. Andiamo molto bene anche in Asia, come penso molti altri produttori. La Corea del Sud è un mercato molto forte, ad esempio. Vogliamo anche aumentare la nostra penetrazione in Europa e ci siamo accorti che abbiamo perso tempo non curando una buona distribuzione nel vostro Continente. Ora ricominciamo dall'Italia, con Luca (Righetti, MondoAudio N.d.R.).


Brad O'Toole, Marketing Manager, presente all'intervista, ha aggiunto: 
Posso dire qualcosa anch'io circa il mercato. Una delle cose delle quali mi sono accorto durante la promozione di Aerial Acoustics è che sono diffusori per amanti della musica e quindi vanno particolarmente bene in Paesi dove si ama la musica,e non è così ovunque. Come ben sappiamo, molta gente ascolta gli apparecchi e non la musica. 
Così, notiamo che quando c'è una forte connessione e conoscenza della musica dal vivo, gli appassionati comprendono Aerial. E questa è una cosa che ho trovato molto interessante.



AA: Ho scritto qualcosa di simile nella mia recensione …
BoT: Sfortunatamente, essendo appena uscita, non ho ancora trovato il tempo di leggerla per intero ma vedo che hai inquadrato bene il prodotto. 


AA: Da giovane suonavo la batteria, ero un musicista.
BoT: I musicisti capiscono le Aerial ed è molto bello. E' cio che ho voluto far presente nella comunicazione pubblicitaria; abbiamo trovato la connessione con distributori che capiscono la musica, e questo è molto importante dell'alta fedeltà.



​Angelo Jasparro


Analog Master Tapes 
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by Antonio Lanfranca

Bobine e Bobinofili

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Paradossalmente, chi è rimasto all’oscuro delle altissime potenzialità soniche del formato ‘Master Tape’ è proprio il pubblico degli appassionati della riproduzione audio di qualità. Questo perché quando la tecnologia analogica era l’unica esistente, il formato ‘Master
Tape’ (che prevede due tracce di ampiezza minima pari a 1/8 di pollice e velocità di scorrimento del nastro di 38 o addirittura 76 cm. al secondo) era accessibile esclusivamente alle facilities di produzione di Vinili e Compact Cassette, costituendone l’input primario del processo produttivo. Il formato destinato al mercato consumer era, salvo rarissime eccezioni, il cosiddetto ‘4-Track Open Reel’, in cui ciascuna delle tracce stereo ha ampiezza pari a 1/16 di pollice e velocità di play di 9,5 o 19 cm. al secondo, o l’ancor meno performante formato ‘Compact Cassette’ (tracce da 1/32 di pollice e velocità di play di 4,75 cm. al secondo).

Quando nel 2007 Paul Stubblebine e Michael Romanowsky - due intraprendenti Mastering Engineers californiani - diedero il via a una produzione in serie limitata di Master Tape commerciali derivati dalle incisioni originali dell’epoca d’oro della registrazione analogica, nessuno avrebbe potuto prevedere che in pochi anni l’eco di entusiasmo di produttori e fruitori di tali supporti avrebbe avuto la forza di scoperchiare il vaso di Pandora contenente le grandi potenzialità dello standard d’incisione impiegato dall’industria discografica dalla sua nascita fino alla metà degli anni ’80, quando l’avvento della tecnologia digitale (e delle enormi opportunità di cost-cutting che ne derivavano) ne decretò il prematuro abbandono.
Indubbiamente i citati engineers erano ben consapevoli delle potenzialità assolute che il formato ‘Master Tape' è in grado di offrire; d’altronde appartengono a quella piccola cerchia di addetti ai lavori con qualche decennio di esperienza sulle spalle che i nastri li conosce a fondo e non ha mai smesso di usarli, oggi magari solo in fase di finalizzazione e mastering di un mix; medesima consapevolezza è anche diffusa tra coloro che hanno lavorato in una stazione radiofonica ai tempi delle ‘radio libere’, tra la moltitudine di artisti che in quegli anni realizzava demo in improvvisati studi casalinghi sognando il giorno in cui avrebbe avuto accesso a una produzione che disponesse dei fondi necessari a consentire un’incisione professionale su un multi-pista da due pollici, e in generale tra tutti quelli che - per una ragione o per l’altra - sono entrati in contatto con la realtà discografica prima degli anni ’90.

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In un prossimo intervento approfondirò le importanti implicazioni tecniche e soniche derivanti dalla riduzione di ampiezza e velocità di play del nastro magnetico; quello che mi preme fare adesso è invitare tutti coloro che avessero un’idea del suono analogico su nastro tarata sull’ascolto dei ‘4-Tracks Open Reel’ (o peggio ancora sulle Compact Cassette) a resettare le proprie convinzioni e a costruirsene delle nuove approfittando delle opportunità di ascolto del formato Master Tape, oggi sono decisamente più a portata di mano rispetto a qualche anno (decennio) fa. Infatti, al di la dell’offerta commerciale dei citati neo-pinionieri, i Master Tape hanno ormai preso a girare anche al di fuori del ristretto ambito della registrazione professionale e raggiungendo il mercato consumer di fascia alta. Oggi sono disponibili anche in Italia incisioni di nuova generazione realizzate interamente nel dominio analogico con tecniche e attrezzature di altissimo livello. Magari nella vostra cerchia di conoscenze c’è già un ‘bobinofilo’ appassionato o un operatore specializzato che ne possiede qualcuno; magari siete frequentatori di mostre audio nazionali e internazionali, dove oggi questo formato è ben presente... anche se i numeri sono piccoli sono comunque aperte opportunità di ascolto e fruizione prima inesistenti, che vi consiglio di non mancare.
Piccoli numeri, si diceva. E’ inevitabile: realizzare e duplicare  incisioni su nastro magnetico in formato ‘Master’ non è un lavoro semplice e  non può essere fatto a basso costo. Conseguentemente la diffusione non è e  non potrà mai essere di massa.  
Tuttavia, al di là di ogni considerazioni su costi e diffusione, l’apparizione  dei Master Tape al vertice della riproduzione analogica in ambito consumer è  un dato di fatto che può farci riflettere su almeno due cose: 
-  La prima è che, come è accaduto per il  vinile, una tecnologia analogica data per ‘estinta’ già alla fine degli anni ’80, non ha di fatto subito ed è ancora ben lontano dal subire tale triste epilogo;  
-  La seconda, ed è quella che più mi preme  sottolineare, è che ancora oggi la registrazione e la riproduzione analogica  su nastro magnetico rimane il riferimento col quale qualsiasi altro supporto  e formato deve fare i conti. E questo è sorprendente se pensiamo che sono  trascorsi trent’anni dal prepotente
insediamento della tecnologia digitale  come standard industriale e consumer, anni in cui il digitale si è evoluto e  perfezionato, laddove l’analogico su nastro è rimasto fermo allo stato dell’arte  della fine degli anni
‘80. 
 
Scopo di questa rubrica sarà quello di aprire una finestra su questo  affascinante e variegato mondo della registrazione e della riproduzione  analogica di alto livello, fornendo informazioni, testimonianze e consigli  che possano essere utili non solo a chi non ha mai visto un registratore  analogico in azione, ma anche a coloro che già conoscono e usano questo  formato.  
Alla prossima! 
 
Antonio Lanfranca


Dischi BluRay in “Pure Audio”: lentamente, ma qualcosa si muove

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Credo che ben pochi di noi abbiano sentito parlare dei dischi BluRay che contengono solo brani audio ad alta risoluzione, senza video, adottando il protocollo “Pure Audio”… ed in meno ancora li abbiano nella propria discoteca. Eppure, secondo me, questa è una vera occasione perduta per il nostro settore. Il protocollo Pure Audio (che non è un nuovo formato, ma solo una modalità di gestire i flussi audio all’interno di un disco BluRay, che viene così letto da qualsiasi lettore BD) è stato presentato nel 2009 e standardizzato dall’AES l’anno seguente. Riassumendo semplicemente, il pregio del protocollo “Pure Audio” è quello di poter comandare la lettura di un disco BluRay come se fosse un normale CD: è sufficiente
inserire il disco nel lettore e la riproduzione partirà automaticamente, senza dover selezionare l’apposita voce dal menu principale e quindi senza nemmeno aver bisogno di accendere la TV. A quel punto si cambierà brano o si andrà avanti/indietro veloce tramite i soliti tasti del telecomando ed inoltre si potrà commutare in tempo reale tra i vari formati presenti sul disco (ad es. PCM stereo, PCM multicanale, DTS-HD Master Audio etc.) utilizzando i quattro tasti colorati presenti su tutti i telecomandi dei lettori BluRay.
Ecco quindi che ritengo una novità interessante e molto piacevole la presentazione di un nuovo lavoro in Pure Audio pubblicato in questi giorni dalla Decca, “L’Anello del Nibelungo” di Wagner diretto da Sir Georg Solti, per celebrare quello che sarebbe stato il suo 100esimo compleanno (Solti nacque nel 1912 e morì nel
1997). I master originali dell’opera sono stati acquisiti digitalmente in PCM stereo a 192 kHz /24 bit.
In questo caso i laboratori “msm-studios”, che hanno effettuato l’authoring del BluRay, hanno utilizzato i quattro tasti colorati del telecomando non per selezionare i diversi flussi audio ma per navigare attraverso le quattro opere che costituiscono l’Anello, ancora una volta senza la necessità di accendere lo schermo TV. Il BluRay comunque è solo uno dei supporti contenuti in questa edizione, veramente ricchissima, che comprende 14 CD con L’Anello del Nibelungo, 2 CD con un’introduzione all’Anello di un allievo di Wagner (Deryck Cooke), 1 DVD con un documentario BBC/ORF (“The Golden Ring”) in inglese e tedesco, 1 CD con le Overtures di Wagner registrate a Vienna durante gli anni dell’Anello ed infine il BluRay di cui si è detto, oltre a libretti, spartiti, altro materiale descrittivo etc. Il costo dell’intero cofanetto dovrebbe aggirarsi sui 250 Euro.
Questo è il link ufficiale pubblicato da Pure Audio BluRay su Facebook (non è necessario essere iscritti per leggerlo):
http://www.facebook.com/notes/pure-audio-blu-ray/soltis-historic-der-ring-des-nibelungen-released-on-pure-audio-blu-ray-by-decca-/527237273969749

Questo link francese comprende anche un bel video promozionale dove si può ascoltare la qualità della rimasterizzazione effettuata (ovviamente in… scala ridotta, ma il risultato è già ottimo):
http://www.hdfever.fr/2012/09/19/sir-georg-solti-the-ring-coffret-deluxe-17-cd-pure-audio-blu-ray/

E per chi vuole ulteriormente approfondire l’argomento, termino con una descrizione delle caratteristiche del protocollo Pure Audio ed alcune considerazioni sulle sue finalità e le sue potenzialità. Innanzitutto: il "Pure Audio Blu-ray" è un metodo, non un nuovo formato, ideato per produrre un disco Blu-Ray che contenga esclusivamente audio e permetterne il suo utilizzo nel modo più semplice possibile, mantenendo la compatibilità con tutti i lettori Blu-ray esistenti e futuri. Questo progetto è stato proposto all'AES da Stefan Bock degli Msm-studios di Monaco (Germania) ed il cammino verso lo standard è iniziato il 10 agosto 2009. L'approvazione definitiva del progetto e la sua trasformazione in standard AES, con il numero X-188, è avvenuta il 22 maggio 2010. Il nome specifico dello standard è: "AES-X188, Screen-less navigation for high-resolution audio on Blu-ray Discs". Il suo scopo (tradotto in italiano): "Specificare un metodo per l'authoring di un disco Blu-ray esclusivamente audio e permetterne la lettura in sistemi consumer senza schermo, offrendo una semplice scelta degli stream audio e delle tracce utilizzando il telecomando di un normale lettore Blu-ray".
I suoi destinatari: "Le compagnie discografiche che desiderano offrire un prodotto ad alta risoluzione
utilizzando la tecnologia corrente; le aziende che effettuano i servizi di mastering e gli studi di registrazione; gli utenti finali che desiderano fruire dell'audio ad alta risoluzione
". Per il link ufficiale: http://www.aes.org/standards/meetings/init-projects/aes-x188-init.cfm

Nei dischi è possibile inserire anche un ulteriore funzione (sempre sviluppata dagli Msm-studios) denominata "mShuttle", che permette di inserire dati e files addizionali (es. files MP3 o FLAC) nel disco ed ascoltarli tramite il proprio PC, collegato in rete con il lettore Blu-ray. Il progetto Pure Audio Blu-ray è partito dalla considerazione che il mondo dell'audio era rimasto in un certo senso "orfano" di un formato ad alta risoluzione accettato dal mercato, con costi di produzione sostenibili, di larga diffusione, di basso costo al pubblico e di facile reperibilità.
I precedenti formati SACD e DVD-Audio, nonostante la loro indubbia validità intrinseca, non sono purtroppo mai riusciti a diventare un formato di massa. L'SACD è ora confinato in un mercato di nicchia, con continua tendenza all'estinzione; il DVD-Audio è considerato ormai morto. Inoltre per leggere SACD e DVD-Audio è necessario un lettore apposito multiformato: questa limitazione ha sempre impedito una larga diffusione di entrambi i formati, oltre al fatto che molto spesso il pubblico ha visto l'esistenza di entrambi i supporti come l'ennesima "guerra tra formati". Il formato Blu-ray invece ha avuto una continua crescita e diffusione a livello mondiale. Negli USA era presente a fine 2011 nelle case di 40 milioni di americani, per una penetrazione del 38% (fonte: http://www.degonline.org/pressreleases/2012/DEG_year_end_2011.pdf).
Nonostante il formato Blu-Ray non sia nato espressamente per l'audio, in quanto è stato voluto dalle major di Hollywood per distribuire i film e non dalle organizzazioni come l'AES o dalle aziende del settore audio (come ad es. Philips e Sony, quando si sono unite per creare e fare approvare il formato CD-Audio), è indubbio che le sue caratteristiche di base per il formato stereo "semplice" (PCM lineare a 192 kHz - 24 bit) consentano una qualità audio superlativa, molto superiore a quella del CD-Audio (44,1 kHz - 16 bit), superiore a quello del DVD-Video (96 kHz - 24 bit) e direttamente paragonabile a quello dell'SACD e del  DVD-Audio (192 kHz - 24 bit). Inoltre il campionamento massimo (PCM lineare 192/24) può essere applicato anche all'audio multicanale con caratteristiche di qualità identiche per ogni canale, cosa non possibile con i precedenti formati.

Da tutto ciò era chiaro che il mondo dell'audio non poteva ignorare il formato Blu-ray, relegandolo ad un semplice complemento per il video: si trattava solo di determinare il modo migliore per utilizzarlo secondo le modalità, le aspettative ed il target specifico del nostro settore. Così il Pure Audio Blu-ray si affianca al mondo della musica liquida ad alta definizione, quella scaricabile online dai vari siti dedicati, venendo incontro a tutti quegli utenti che per vari motivi:
- Non hanno un PC e non intendono averlo (sia per scelta che per mancanza di competenze);
- Pur avendo un PC, non lo sanno usare al meglio e quindi non si ritrovano con i criteri di gestione della  musica liquida (download, archiviazione, programmi per la lettura, backup di sicurezza dei dati scaricati, installazione di interfacce, installazione di drivers, collegamenti fisici tra il PC e l'interfaccia e tra l'interfaccia e l'impianto stereo, etc).
- Pur avendo un PC e sapendolo usare, non possono accedere ad internet con un collegamento veloce;
- Pur avendo tutto il necessario ed anche il collegamento veloce, si scontrano con gli elevati tempi necessari per il trasferimento di un singolo intero disco ad alta risoluzione (oltre che con i costi, non sempre  convenienti);
- Pur essendo perfettamente in grado di gestire ed accettare tutti i punti suddetti, sanno che nel loro nucleo famigliare non tutti lo sono (es. moglie, anziani in famiglia, bambini...) e questi naturalmente si sentono a disagio nel sentirsi "limitati" nella loro fruizione delle nuove tecnologie, in particolare gli anziani;
- Infine: pur trovandosi bene con tutti i punti suddetti, rimane loro sempre un senso di inadeguatezza per la mancanza del "supporto fisico" (copertina, libretto, disco), cioé quel qualcosa che ha sempre costituito la "discoteca dell'appassionato", oltre che audiofilo.

Ora le etichette possono offrire al pubblico uno stesso lavoro, su supporto tradizionale, con la presenza contemporanea sullo stesso disco di più tracce ad alta risoluzione, selezionabili e confrontabili tra loro semplicemente premendo i tasti colorati del telecomando. Anche i costi non sono un problema, perché lo stesso sistema per l'authoring di un disco Blu-ray (ormai presente in molti studi e di continua ulteriore diffusione) può essere utilizzato per la generazione di un Pure Audio Blu-Ray, senza alcuna spesa ulteriore. Da ciò ne discende che anche il fenomeno della pirateria può ridursi: quando un utente può acquistare un disco Pure Audio Blu-ray con la qualità che abbiamo detto, più il libretto, quindi con il senso "di possesso reale" del supporto ed il tutto ad un prezzo come quello di qualsiasi altro disco blu-ray, che senso avrebbe scaricare i soli brani HD dai siti pirata ?
Fin dall'inizio della definizione dello standard, Denon ha creduto nella proposta ed ha fatto pubblicare da 2L un apposito disco (chiamiamolo "sperimentale"). In quest'immagine si può benissimo vedere come i tasti colorati sul telecomando permettano la semplicissima scelta delle diverse risoluzioni audio (5.1 DTS-HD MA, 5.1 LPCM, Stereo LPCM, il tutto in 192/24): http://www.2l.no/epost/images/2L_Denon_screen.jpg

Stockfisch ha pubblicato recentemente in Pure Audio un disco di Sara K (5.1 DTS-HD MA, 5.1 PCM, Stereo PCM): http://www.stockfisch-records.de/stckff/sf_sarak_d.html

Insomma, la carne al fuoco è davvero tanta e le potenzialità sono splendide. Speriamo davvero che la corsa del Pure Audio continui.
​

Quirino Cieri



Analisi e confronto di file audio musicali tramite software specifici
(es. Adobe Audition)

Ringrazio innanzitutto Angelo per avermi offerto di scrivere su Audio Activity ed inizio la mia collaborazione con un articolo dedicato alle modalità di analisi di un brano musicale, estratto da un CD, utilizzando un software specifico (in questo caso “Adobe Audition”, ma è possibile utilizzare software gratuiti come “Audacity” o altri, anche se con risultati in genere meno precisi). Se verrà riscontrato interesse per questo genere di articoli tecnici ne proporrò volentieri altri, anche su argomenti simili, raccogliendo ovviamente i suggerimenti dei lettori. A cosa serve un'analisi di questo tipo? 
Serve sicuramente per togliersi alcuni dubbi e soddisfare delle curiosità “tecniche” sulle peculiarità dei brani stessi, soprattutto quando si fa un confronto tra differenti versioni di un brano (ad es. la versione originale di un disco ed una sua nuova versione rimasterizzata), ma non è detto che i risultati dell'analisi siano direttamente correlati con i risultati dell'ascolto: anzi, in genere queste analisi danno scarsissime indicazioni sul suono del brano stesso. Infatti spesso chi analizza (prima di ascoltarli) due brani simili, o due versioni differenti di uno stesso brano, è portato a fare considerazioni ed ipotizzare conclusioni che poi vengono pesantemente modificate o addirittura stravolte quando i due brani vengono ascoltati a confronto ... 
Questo infatti è uno di quei casi in cui l'orecchio è il giudice indiscusso: sappiamo ormai da decenni che il “piacere di ascolto” deriva da una lunga serie di fattori, soprattutto psicoacustici, che sono praticamente impossibili da analizzare analiticamente tramite strumentazione. D'altra parte ci sono altre “informazioni tecniche”contenute in un brano musicale che l'orecchio non è in grado di discernere, ma che possono essere utili per completarne la conoscenza. 
Ciò detto, iniziamo con l'analisi di due versioni diverse di uno stesso brano. Ne ho scelto uno che praticamente tutti conoscono: “Birdland”dei Weather Report, incluso nel loro disco “Heavy Weather”. L'LP originale fu pubblicato nel 1977 ed il CD uscì nel 1984; il mio disco acquistato all'epoca (da cui ho estratto il primo dei brani in analisi), stampato da CBS/Sony in Giappone, riporta il numero di catalogo CK34418. Recentemente ho acquistato su Amazon il cofanetto “The Perfect Jazz Collection – Vol.1” che contiene anche Heavy Weather, in versione rimasterizzata del 2010 (numero di catalogo LC80162); da qui ho estratto il secondo dei brani in analisi. Nella figura seguente il primo disco (l'originale, con custodia in plastica) è quello  in alto, il secondo (il rimasterizzato, con busta in cartone) in basso.
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Ascoltando la versione rimasterizzata ho notato che hanno fatto un buon lavoro.
Già la timbrica del CD originale era più che apprezzabile, la dinamica era adeguata (un po' compressa, ma non eccessivamente) e gli strumenti ben distribuiti lungo il fronte stereo. Una tipica registrazione jazz/rock di fine anni '70, con più aspetti positivi che negativi, se li valutiamo con le capacità critiche e con i criteri “audiofili” che tutti noi abbiamo sviluppato in questi anni di esperienza passando da un formato all'altro (vinile, cassetta, CD, audio HD, etc.). Nella rimasterizzazione è stato un po' rivisto l'equilibrio timbrico: i bassi sono decisamente più presenti, sia a livello globale che nei singoli strumenti (ad esempio il basso di Pastorius è più in evidenza durante i suoi interventi ed assoli) e le frequenze medio-alte ed alte sono un po' attenuate rispetto all'originale ma in genere più “chiare”, probabilmente grazie anche ad un convertitore A/D più sofisticato di quello utilizzato quasi trent'anni fa. Ovviamente questa considerazione è valida solo se per la rimasterizzazione è stato utilizzato il master analogico originale o una sua copia di buona qualità, anziché un'acquisizione digitale effettuata in precedenza dal master analogico, ma questo non ci è dato saperlo. 
In più brani si sente che i tecnici sono intervenuti in specifici punti per evidenziare alcuni passaggi particolarmente “importanti”.Giusto per fare un esempio: nella parte centrale di Birdland, intorno ai 3'40”,il sax di Shorter è un po' più in evidenza che nella versione originale. 
Infine la dinamica globale è decisamente migliorata, cosa alquanto inconsueta per una rimasterizzazione, visto certi “scempi” a cui abbiamo assistito nell'ultimo decennio; questo fortunatamente non è stato fatto semplicemente elevando il livello medio del volume (sciagurata tendenza della cosiddetta “loudness war”, quando portata all'estremo). Mentre nella registrazione originale i pieni strumentali tendono ad appiattirsi durante il loro incremento, fino ad avere pochi decibel di dinamica tra l'inizio e la fine degli stessi, nella nuova versione l'incremento avviene con una tendenza più progressiva, rispettando maggiormente la dinamica originale del nastro (e questo è facilmente verificabile dall'analisi strumentale, come vedremo tra poco). In sintesi, un buon lavoro che non ha stravolto la versione originale ma la ha resa, secondo me, ancora più gradevole. 

Veniamo quindi all'analisi strumentale, effettuata come detto con Adobe Audition e limitandosi alle sole funzioni di analisi di questo completissimo programma (il che vuol dire utilizzarlo sì e no al 5-10% delle sue capacità, visto che permette una serie impressionante di funzioni di trattamento ed elaborazione dei brani musicali, ma a parlarne qui sarei fuori argomento...). Vediamo quindi la forma d'onda delle due versioni di Birdland: in fig.1 la versione su CD del 1984, in fig.2 quella rimasterizzata del 2010. 
(Nota: in questa analisi mi sono limitato al solo brano Birdland, ma le considerazioni possono essere estese a tutto il disco in quanto la rimasterizzazione è molto omogenea).
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fig. 1
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fig. 2
Si può notare che nella versione originale non ci sono picchi clippati, ma la dinamica è stata un po' “sacrificata” comprimendola durante i passaggi musicali a volume più elevato. Niente di strano o di particolarmente negativo: nel 1984 era la norma procedere in questo modo.

Nelle figure 3 e 4 ho evidenziato in rosso le zone del canale destro, nei primi 2'40” del brano, dove è più visibile la differenza tra le due versioni. Nel primo passaggio evidenziato non c'è quasi differenza (a parte un “piccolo dettaglio” che vedremo fra poco), mentre nel secondo e nel terzo passaggio si può notare come la dinamica è stata un po' “recuperata”rispetto alla prima versione ed ora i picchi più elevati dei due passaggi toccano spesso lo 0 dB.
 
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fig. 3
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fig. 4
Qualche picco (fortunatamente pochissimi) è stato “tosato”da un limitatore digitale, come si può vedere in figura 5, dove in corrispondenza di uno di questi punti ho estremamente amplificato l'asse dei tempi orizzontale fino a vedere i singoli campioni che costituiscono la forma d'onda. Riporto tutto ciò solo per informazione didattica, in quanto queste limitazioni sono di durata talmente ridotta da non essere assolutamente udibili da nessun orecchio, anche superallenato. Stiamo parlando infatti di un massimo di tre-quattro campioni consecutivi per ognuno dei picchi “tosati”, cioè di una durata complessiva inferiore a 100 microsecondi, visto che la frequenza di campionamento del CD è di 44.100 Hz e quindi ogni campione (i “puntini”visibili in figura) ha una durata di soli 22,7 microsecondi. 
Sono ben altre le “vere” distorsioni da clipping, perfettamente udibili, che si ritrovano su certi lavori anche prestigiosi.... (!)
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fig. 5

Dicevo che nel primo passaggio si può intravedere una particolarità. In effetti, osservando bene le due versioni ed alternando lo sguardo da una all'altra, si constata che tra i due brani la fase è invertita: in figura 6 ho evidenziato il fronte superiore della forma d'onda del canale sinistro nella versione originale, che contiene vari picchi, i quali sono“speculari” nella forma d'onda della versione rimasterizzata.
Fig.6

Anche questa informazione va considerata solo come una curiosità: innanzitutto perché è inutile riprendere qui l'antica e controversa questione sull'udibilità della fase assoluta in un brano musicale, ma soprattutto perché non potendo analizzare il master originale analogico, non abbiamo alcun modo di sapere se la forma
d'onda “corretta” (diciamo così) sia quella della versione originale o di quella rimasterizzata ...  
E terminiamo con una “panoramica” della risposta in frequenza di entrambi i brani. In figura 7 ed 8 si possono confrontare i due grafici ed osservando attentamente le differenze (ignorando la zona fino a 30-40 Hz, poco significativa) si ha la conferma di una maggiore evidenza della gamma bassa nella versione rimasterizzata, in particolare sotto i 200 Hz; l'entità dell'esaltazione è di circa 4-5 dB tra 50 e 100 Hz.
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fig. 7
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fig. 8
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fig. 9
Si nota anche come la gamma altissima (nei dintorni dei 20 kHz) sia differente: la versione originale risente dell'applicazione di un filtro anti-aliasing ripidissimo, come erano quelli impiegati nei convertitori A/D dell'epoca, mentre nella versione rimasterizzata il roll-off è è più“naturale”, conferma questa dell'utilizzo di un convertitore con filtri digitali più avanzati e meglio rispondenti ai criteri “audiofili” odierni. Nelle figure 9 e 10 vediamo infine la stessa risposta in frequenza delle figure precedenti, ma con scala orizzontale lineare anziché logaritmica, così da evidenziare meglio cosa succede ad altissima frequenza.
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fig. 10
E con ciò abbiamo terminato questa prima analisi a confronto. Spero l'abbiate trovata interessante.
Se gradite leggere altre analisi sui CD e sui files audio digitali simili a questa, potete trovarne alcune nel mio spazio web personale: http://www.cieri.net/confronti_tra_versioni.html

Grazie a tutti per l'attenzione !
 
Quirino Cieri


Audio ... Creativity 
​
by Marco Lincetto

Come nasce un disco: KYRA

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La mia presenza all’interno di Audio-activity sarà all’insegna della “pubblicità progresso”. Infatti la grande maggioranza dei miei articoli verterà sulla descrizione minuziosa di come nasce un disco a catalogo Velut Luna e di come viene registrato. In questo modo l’appassionato avrà finalmente gli strumenti per capire “cosa” deve riuscire a sentire dal proprio impianto.

Alla classica domanda: “Cosa dobbiamo mirare a sentire da un impianto: una riproduzione che riproduca l’evento live, oppure una riproduzione che riproduca quanto è registrato nel disco?”, verrebbe da rispondere… entrambe le cose. Tuttavia, l’evento live può solo essere intuito, in base all’esperienza di ascolto live che un buon appassionato di musica dovrebbe avere. Mentre normalmente è totalmente precluso alla conoscenza dell’appassionato cosa è stato effettivamente infilato nella registrazione e  perché. Ecco quindi che questi miei articoli, centrati specificamente su singoli dischi regolarmente in commercio, mirano proprio ad offrire uno strumento di conoscenza per apprezzare meglio il disco stesso, ma anche per appurare quanto il proprio impianto è in grado di estrapolare dalla registrazione.

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Iniziamo parlando di KYRA

Si tratta di una produzione di musica difficile da inquadrare in un genere preciso. Sono tutte composizioni originali del chitarrista Pietro Ballestrero, che opera nell’ambito della musica jazz, ma ha anche una solida tradizione classica. 
E questo disco fotografa fedelmente un variopinto caleidoscopio di emozioni e colori. Innazitutto la formazione: quartetto d’archi (due violini, viola e violoncello), contrabbasso jazz, ovvero nella maggior parte dei  casi suonato in pizzicato, senza archetto, chitarra classica e semiacustica jazz, che svolge il ruolo di solista, ma anche di insieme, e clarinetto solista in 7 brani su 10. Al clarinetto troviamo forse uno dei più importanti clarinettisti jazz mondiali: Gabriele  Mirabassi.

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Come dicevo la musica si innesta su presupposti  stilistici legati alla corrente del minimalismo, per via di certi tessuti  armonici intrecciati dal quartetto d’archi, ma non dimentica mai una straordinaria vena melodica nelle parti solistiche di chitarra e clarinetto, come sempre pulsante è il groove tipico del jazz, grazie all’azione ritmica del contrabbasso. 
La mia filosofia di ripresa, strettamente legata al concetto di una musica che possa essere fedelmente riprodotta in concerto dal vivo, comporta di riprendere l’organico interamente dal vivo, pur in studio di registrazione.
Velut Luna sin dal 2004 opera in uno studio appositamente pensato per proporre nel modo migliore l’acustica di un piccolo auditorum: la Sala GIALLA è infatti un grande spazio sonoro di circa 140 mq, caratterizzato da un soffitto ad altezza variabile fra 4,5 e 7,5 metri nel punto più alto. Si tratta di una sala progettata con criteri acustici chegarantiscono un riverbero naturale di circa 1,8 secondi, caratterizzato da una decadenza morbida e senza“rimbalzi” anomali del suono. Il legno ed i mattoni in pietra garantiscono infine una timbrica calda, ma estremamente definita e precisa, ma soprattutto armonicamente ricca. 
 
LA  REGISTRAZIONE

Il gruppo principale è stato disposto esattamente come si dispone dal vivo sul palco durante i conerti, ovvero a semicerchio, con, da sinistra a destra: violino primo, violino secondo, viola, violoncello, contrabbasso e chitarra. Il clarinetto solista è stato posizionato al centro, di fronte al gruppo, ma separato da questo con alti pannelli separatori semiaperti. Lo scopo di questa scelta sta nel fatto di poter in questo modo controllare la differente e maggiore pressione acustica del clarinetto, rispetto al resto del gruppo. L’utilizzo di pannelli aperti all’interno della medesima grande  sala fa sì che in ogni caso l’acustica ambientale sia la medesima sia per il gruppo che per il clarinetto, garantendo la indispensabile omogeneità timbrica. 

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I  MICROFONI 
 
Innanzi tutto ho scelto come microfoni principali una coppia di omnidirezionali 
Sennheiser MKH 8020, posizionati centralmente rispetto al semicerchio del gruppo, in configurazione A-B, distanziati fra loro 90 cm. Questi due microfoni sono responsabili del 75% del suono finale. A questi ho poi aggiunto un microfono d’accento su ciascuno strumento, al fine di garantire un maggiore dettaglio ed una migliore micro dinamica. In particolare ho utilizzato per i due violini e la viola tre Neumann KM140 a capsula piccola, un Neumann TL103 a capsula larga per il violoncello, un classico
Neumann U87ai per il contrabbasso ed uno Schoeps MK4v per la chitarra.
Per il clarinetto, ho utilizzato una tecnica di ripresa che ho messo a punto io stesso, specificamente per questi casi in cui devo  preservare il suono d’ambiente, lontano dai microfoni main, e garantire dettaglio e presenza tipiche del solista. Si tratta di fatto di una ripresa stereofonica con tecnica XY a cui si aggiunge un microfono centrale d’accento, coincidente. I microfoni utilizzati sono tutti Schoeps: due 
MK4 per la coppia stereo XY ed un MK4v come centrale. 
 
PERCORSO DI REGISTRAZIONE

Credo sia ben chiaro quanto facile è degradare il delicatissimo segnale trasmesso dai microfoni con scelte a valle poco accurate. Ecco quindi che da sempre ho scelto di porre grande cura in questo percorso, a partire dai cavi utilizzati, proseguendo con i pre-microfonici, fino agli stadi di conversione AD. In questo caso sono stati usati cavi microfonici Mogami Starquad, di grande qualità, ma soprattutto corti, ovvero non più lunghi di 5 metri; tutti immediatamente connessi ai pre microfonici
Millennia Media HV-3D posizionati subito in prossimità dei microfoni stessi. E senza soluzione di continuità, nel medesimo “case” on stage dei Millennia è stato posizionato anche il convertitore AD mullticanale Prism Sound ADA-8HR, collegato ai pre Millennia con cavi litz da un metro di costruzione custom, di altissime  prestazioni, che potremo chiamare “Velut Luna Wired”. Finalmente, in uscita dal convertitore Prism Sound abbiamo potuto utilizzare cavi digitali in formato AES/EBU lunghi circa 18 metri per arrivare alla cabina di regia. 

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Qui il segnale digitale è stato connesso alla DAW basata su una scheda audio professionale PCI express RME AES32 (solo digitale
16IN/16OUT), integrata in un PC custom esclusivamente utilizzato come supporto per il software di registrazione 
Samplitude 11 PRO.Il tutto in standard PCM 24bit/88.2kHz.
 





MISSAGGIO E MASTERING

La DAW, di fatto viene da me utilizzata come “registratore”: non utilizzo cioè alcuno dei classici plug in digitali in fase di missaggio – se non il delay digitale sulle singole tracce e gli automatismi di livello, come vedremo fra un po’ –per il semplice fatto che missaggio e bmastering avvengono in…dominio analogico! Io sono fermamente convinto che a partire da 6 tracce registrate in su (in questo caso avevamo 11 tracce da mixare), il missaggio digitale comporti udibili limiti in funzione della limitazione di headroom a 0.0 db tipica del digitale. In un missaggio digitale si è quindi costretti, per evitare il clipping, ad attenuare le singole tracce, sacrficando dettaglio e risoluzione, nonché  dinamica, di conseguenza. Utilizzando invece un mixer analogico di grande qualità, questo problema non si pone: sarà infatti  sfruttata la piena risoluzione registrata, grazie al headroom di ben +24db, garantito ad esempio nel nostro caso dal mixer linea 
Neve 8816. Ovviamente, per mixare in analogico bisogna prima convertire in dominio analogico le singole tracce: operazione garantita ai massimi livelli qualitativi dalla sezione DA del Prism Sound ADA-8HR.
Come dicevo poc’anzi, un’operazione molto importante in fase di mix è il riallineamento in fase dei singoli microfoni d’accento, rispetto ai microfoni main stereo. E’ ben noto che il suono ha una sua velocità e quindi al fine di eliminare fastidiosi effetti di cosiddetto filtraggio a pettine del segnale, ovvero somme e/o sottrazioni di singole frequenze sonore, è necessario riallineare temporalmente la fase. Operazione questa molto semplice in dominio digitale, che si ottiene molto banalmente facendo coincidere perfettamente un singolo picco di segnale, spostando ogni traccia in modo che tale picco coincida su tutte – spostamenti di pochissimi millisecondi, ma fondamentali per la chiarezza del suono ed uno straordinario effetto di ricostruzione dell’immagine sonora originale nelle tre dimensioni.
 
Come avrete forse notato non ho ancora parlato di utilizzo di equalizzatori o compressori… Per il semplice fatto che in fase di mix, in questo caso, non sono stati utilizzati. Ho infatti scelto di applicare una leggera equalizzazione e compressone generale in fase di mastering, per completare il grande lavoro dinamico e timbrico svolto dal Neve in sede di mix.

Fugate ogni timore: nulla nemmeno confrontabile alla tanto temuta “Loudness "war”… Dunque. Sempre in dominio analogico, a valle del Neve ho collegato una catena composta in ordine da: compressore 
Millennia Media TCL-2 twin + equalizzatore Millennia Media NSEQ-2 twin (entrambi configurati con i circuiti valvolari) + limiter Maselec MPL-2. Alla fine di tutto il percorso è stata applicata una compressione generale, che potremmo più propriamente definire "azione di limiter dei picchi anomali" di circa 2,5 dB, appunto,
finalizzata ad impedire che singoli picchi eccessivi costringessero INUTILMENTE ad un livello medio d’ascolto troppo basso.  
Mentre a livello di equalizzazione mi sono limitato a dare un po’ di freschezza sulle altissime frequenze applicando +2db di shelving eq a 20.000 hz. Per tranquillizzarvi sulla dinamica finale, segnalo un valore complessivo di DR18…
 
Alla fine di tutta questa catena di mix e mastering- che è stata realizzata contemporaneamente, dato questo molto importante – ho riacquisito il segnale in dominio digitale attraverso la Rolls Royce dei convertitori AD… ovvero il miglior AD ancora oggi esistente, il 
Prism Sound Ad-2 DREAM, sempre in formato PCM 24/88.2 e sempre all’interno della DAW Samplitude 11 Pro, con cui ho poi provveduto alla decimazione a 16/44.1 per la produzione del master per stampare i CD.
 
 

COSA DOVETE SENTIRE ASCOLTANDO QUESTO DISCO…

La timbrica generale è molto neutra, caratterizzata dalla pasta molto “lignea” degli strumenti protagonisti: quindi pastosità della chitarra classica, brillantezza del clarinetto e dei violini, controllo del basso da parte del violoncello e basso giustamente “importante” da parte del contrabbasso.Proprio questo strumento è bene segnalare che nella realtà non fa “tunc-tunc”, ma bensì “bump-bump”. Spero che l’onomatopea da me utilizzata sia chiara nel comunicare che aspettarsi un suono di contrabbasso velocissimo e frenatissimo è semplicemente sbagliato, perché nella realtà non esiste, se non nelle fantasie di certi fonici da palco, che questo tirano fuori nei concerti amplificati…
 
Infine l’immagine sonora. Dovete aspettarvi di sentire, di “vedere”, il semicerchio che potete notare nelle foto, con il primo violino subito a ridosso del diffusore di sinistra, fino alla chitarra subito all’interno del diffusore di destra, con il contrabbasso a fianco della chitarra, a centro destra. Non cercate ovviamente troppa profondità del suono, perché semplicemente questa era  limitatissima a circa un metro indietro della viola… Il clarinetto, solista, sarà ascoltabile esattamente al centro in linea con primo violino e chitarra; così come la chitarra, al centro quando svolge un chiaro ruolo solistico in un paio di occasioni, come il solo del brano “Verde”, ad esempio.
 
Mi pare sia tutto: buon ascolto ed alla prossima.
 
Il disco è in vendita nei principali negozi di dischi italiani, oppure nel sito  

www.ludomentis.com
   oppure infine, in fomato “liquido” HD flac 24/88.2 sul sito
www.hdtracks.com 


La LOUDNESS WAR ovvero la guerra del volume

INTRODUZIONE
La loudness war o guerra del volume ha origini lontane. Le prime avvisaglie di tale fenomeno risalgono all'introduzione del cd ma esistevano già, in buon parte, quando il vinile era il mezzo primario di diffusione di massa della musica. Le case discografiche per diffondere i brani più importanti dei loro artisti di punta pubblicavano dei 45 giri che venivano fatti suonare nei jukebox presenti nei bar della città. Il jukebox aveva un volume di uscita fisso che era deciso dal proprietario del locale ma i dischi che avevano un livello di registrazione più alto rispetto agli altri guadagnavano una maggiore attenzione da parte del pubblico. Il credo secondo cui "Louder is better" ha così influenzato molte persone all'interno dell'industria discografica finendo per fare molte inconsapevoli vittime. Le prime tra queste sono state di sicuro gli ascoltatori occasionali o quelli forse più distratti che negli anni hanno rappresentato la maggior parte degli acquirenti. E per meglio farvi comprendere ciò di cui parlo, provate ad organizzare un piccolo test. Fate ascoltare ad un gruppo di persone una canzone ad un certo volume o livello di pressione sonora. Riproponete poi la stessa canzone ad un volume più alto rispetto al primo ascolto. Nove volte su dieci vi verrà detto che suona meglio il brano riprodotto ad un volume più alto. Se provate a chiedere il perché vi verrà risposto che l'ascolto è più coinvolgente ed emozionante. Questo può essere vero, ma al di là di quella che può essere solo una sensazione soggettiva, esistono anche delle precise ragioni tecniche e scientifiche. Vediamole quindi più da vicino. Per quanto riguarda le ragioni tecniche, va rilevato che la maggior parte degli amplificatori, degli altoparlanti e delle cuffie, all'aumentare o al diminuire del volume, non riproducono tutte le frequenze allo stesso livello. A volumi molto bassi si può avere quindi l'impressione che le frequenze più alte e quelle più basse siano più forti rispetto a quelle medie. Diversamente, non appena si alza il volume a livelli di ascolto normali o superiori è possibile sentire l'intera gamma di frequenze in modo più uniforme con la netta impressione che la canzone abbia un maggior impatto ed efficacia. E qui entrano in ballo le ragioni scientifiche. L’orecchio umano sente le frequenze comprese fra un minimo di 20 Hz e un massimo di circa 20 KHz, anche se quest’ultimo limite si abbassa progressivamente con l'età. In tale range di frequenze, l'orecchio risulta essere più sensibile ai suoni compresi fra 1 e 5 KHz, grazie anche alla risonanza del canale auricolare e alla funzione di trasferimento degli ossicini dell'orecchio intermedio. In questo modo all'aumentare del volume aumenta anche la percezione del range di frequenze in cui l'orecchio umano è più sensibile, dando all'ascoltatore la sensazione che tutto suoni meglio e con maggiore presenza.


VITTIME E CARNEFICI
Se dovessimo classificare tra i protagonisti della loudness war le vittime ed i carnefici dovremmo sicuramente includere da un lato la gamma dinamica della musica e dall'altro i musicisti e i responsabili marketing della case discografiche. La gamma dinamica della musica è l'intervallo tra il picco massimo di volume prodotto da un suono e la minima intensità dello stesso. Per poter raggiungere livelli di volume sempre più alti si deve ridurre in modo piuttosto drastico questo intervallo utilizzando un processo che viene definito compressione. Citando da Wikipedia: "La compressione è utilizzata sia durante la registrazione in studio, oppure in applicazioni "live" come rinforzo del segnale dal vivo, sia ancora in trasmissioni radiofoniche al fine di ottimizzare il livello del segnale sonoro, in modo che esso venga percepito al meglio, qualunque sia il sistema di riproduzione in uso. In pratica, un compressore è un sistema utilizzato per ridurre l'escursione dinamica di un segnale. In origine esso è nato per modificare i segnali in uscita da microfoni e trasmettitori audio, al fine di evitare eventuali distorsioni di ampiezza che potrebbero verificarsi durante la ripresa e che depaupererebbero significativamente la qualità. Un caso particolare di compressione è ad esempio il limiter, che agisce in modo estremamente veloce e garantisce l'abbattimento del livello del suono in caso di picchi anomali." Detto questo, proviamo a spiegare meglio perché nella loudness war la gamma dinamica è diventata la principale vittima di carnefici quali artisti, responsabili del marketing e, anche se in minima parte, ingegneri del suono. Affinché la musica prodotta e registrata sia sempre più alta, viene usata sempre più spesso nel mastering proprio la compressione, causando tuttavia quell’abbattimento della gamma dinamica che si può facilmente rilevare nella musica moderna. Lo si fa non solo per correre dietro alle ultime tendenze in campo tecnologico, ma soprattutto per le preoccupazioni relative ad un eventuale impatto commerciale negativo nel caso in cui la registrazione suonasse più bassa rispetto agli altri brani in classifica. Si ricorre quindi a tutta una serie di espedienti, spesso di qualità mediocre, con i quali molti artisti cercano di rendere il volume delle loro canzoni il più alto possibile a scapito della fedeltà sonora. Ne nasce una gara in cui non ci sono regole ma solo un unico obbiettivo, far suonare il proprio disco ad un volume più alto rispetto a tutti gli altri. Una gara che nel corso degli anni, a nostro avviso, ha finito solo per peggiorare le cose senza né vincitori né vinti e che ha finito per creare il moderno paradosso di un’equazione in cui all'aumentare della qualità degli strumenti di registrazione e della tecnologia digitale per la musica riprodotta si è contrapposto l’abbattimento o per meglio dire l’appiattimento della qualità generale per la musica registrata. Salvo rare eccezioni, prendendo in considerazione album e artisti anche di fama internazionale, sono molti i dischi che hanno alle spalle produzioni costosissime in termini di tecnologia e tempistiche ma che all'atto pratico risultano poco efficaci da un punto di qualitativo proprio per la ricerca spasmodica di volume o loudness che a dir si voglia. In più, e qui si cela l'altro paradosso, la fruizione che viene fatta oggi della musica ha favorito in maniera netta questa dannosa tendenza alla guerra del volume. La nascita di strumenti di riproduzione sempre più piccoli e trasportabili ha finito per mettere l'ascoltatore in ambienti sempre più rumorosi come posso essere le strade e i centri trafficati delle città. Ci riferiamo ai vari iPod e ai riproduttori portatili di file audio compressi come gli mp3. La diffusione del loro utilizzo ha spinto le case discografiche a fornire agli utenti brani sempre più spinti come volume per evitare un giudizio scarso o di poco impatto su quanto appena scaricato dalle molteplici piattaforme di distribuzione della musica digitale, anche se si è poi visto negli anni che non esiste alcun legame sia in termini pratici che in termini economici tra l'incremento di volume di un brano e il numero di vendite dello stesso. Crediamo quindi che tutto questo sia solo la conseguenza di ingiustificati timori dei responsabili marketing o di qualche artista poco istruito sui reali andamenti del mercato discografico. Ovviamente, limitando e comprimendo la gamma dinamica, si rischia sempre di arrecare qualche danno al brano musicale. Se così non fosse le persone eviterebbero di lamentarsi più di tanto e non punterebbero il dito contro una determinata categoria come ad esempio i mastering engineer che pur di non perdere clienti si sentono obbligati a seguire in tutto e per tutto le volontà delle case discografiche o dell'artista stesso nel processo di finalizzazione di un disco. Esiste quindi realmente una loudness war? Per rispondere a questa domanda correttamente, può essere utile adottare lo stesso metodo usato nell'elaborazione delle immagini, dove si analizza una foto in base alla distribuzione della luminanza con un algoritmo che fa la scansione di tutti i pixel e li ordina a seconda della loro luminosità. Ne deriva un diagramma di distribuzione che indica se l'immagine, nel suo complesso, comprende aree chiare, medie o più scure e in quale misura. Lo stesso processo può essere eseguito con i brani musicali prendendo ad esempio una scansione di tutti i campioni di una canzone ordinandoli secondo il loro livello assoluto. Se analizzassimo con questo metodo i brani presenti nelle classifiche odierne finiremmo per vedere immagini con superfici molto chiare o fin troppo brillanti. Ugualmente per i brani musicali degli ultimi 20 anni, le immagini che ne ricaveremmo finirebbero per essere progressivamente sempre più chiare con un netto aumento della luminosità nelle registrazioni più recenti. Questa caratteristica osservabile in gran parte nella musica moderna, dove la maggior brillantezza non solo significa una maggiore densità di pixel più chiari ma anche una gamma dinamica nettamente ridotta, è indice di una forma d'onda pesantemente modificata e nei casi peggiori, di distorsione. Anche se in teoria in questo non c'è niente di sbagliato, il buon senso suggerirebbe che tale caratteristica non dovrebbe essere il comun denominatore delle attuali incisioni di musica pop o rock.


CASI ECLATANTI
Di casi eclatanti di loudness war nel corso degli anni ce sono stati parecchi. Parliamo di dischi che, essendo vittime della compressione e del limiting selvaggio in fase di mastering, sono divenuti oggetto di critiche molto aspre da parte non solo degli audiofili ma anche dei comuni ascoltatori che tramite petizioni online hanno chiesto a gran voce che il disco venisse rimasterizzato ad dei livelli più bassi. Il supporto musicale più colpito da questo fenomeno è stato sicuramente il CD audio. Dal momento che negli anni ottanta i CD non erano il mezzo primario di diffusione della musica su larga scala, non vi era, almeno allora, alcuna particolare motivazione nel voler spingere i livelli delle incisioni. Negli anni novanta tuttavia questa tendenza è cambiata ed i CD con livelli di registrazione più alti hanno cominciato a diffondersi rapidamente. Questo grazie anche all'introduzione dei brickwall limiter digitali. Un brickwall limiter è in pratica un compressore che ha un rapporto di compressione molto alto, anche di 20:1 e un tempo di attacco che è il più veloce possibile. Dal momento che il segnale audio, almeno nel dominio digitale , non può superare gli 0 dBFS, utilizzando un limiter con un livello di uscita massima regolata appena sotto lo zero, si possono ridurre in maniera anche drastica i livelli di escursione dinamica di un brano diminuendo di molto la differenza tra le parti con minor e maggior volume. Poiché il volume di una traccia audio digitale non è infinito, ma limitato da una certa soglia, ovvero 0 dBFS, oltre la quale il segnale va chiaramente in distorsione, l’unica maniera per aumentarne il volume percepito, una volta raggiunta quella soglia, è di comprimere il segnale limitandolo appunto con un brickwall limiter. In questo modo si riducono i picchi di dinamica, che quasi sempre corrispondono ai colpi di cassa e rullante, innalzando tutto ciò che sta tra questi ed annullando nello stesso tempo i transienti. Questa tecnica è stata utilizzata anche negli anni passati, ma sempre in maniera piuttosto moderata. Oggi purtroppo le cose sono cambiate ed è impensabile produrre un disco immettendolo sul mercato senza prima sottoporlo ad un appiattimento molto pesante della gamma dinamica. La prima vittima di un simile trattamento diventa quindi la musica perchè ridurre drasticamente la dinamica del suono significa soprattutto ridurre il linguaggio della musica stessa, uniformandola e facendole perdere così il suo alto valore intrinseco. Anche se chiaramente discutibile, questo metodo può essere accettato per alcuni generi musicali come la dance o la techno oppure per le canzoni pop usa e getta che non hanno ambizioni di durare più di una stagione. Ma se l’obiettivo dell’artista e del produttore è quello di creare qualcosa che duri nel tempo e che possa essere considerato per sempre un ‘classico‘ od un qualcosa che la gente ascolterà anche nel futuro, allora l’utilizzo di una compressione selvaggia diventerà davvero dannoso perchè banalizzando le sfumature e trasformando la canzone in un unico blocco sonoro la renderà da subito poco invitante. Già dopo qualche minuto infatti si manifesterà una certa fatica all'ascolto perchè le nostre orecchie e la nostra mente hanno bisogno di sfumature e dettagli per mantenere l’attenzione e l’interesse. I crescendo musicali, la dinamica, i passaggi dal pianissimo al fortissimo fanno parte del nostro background musicale sin dalla diffusione dei primi impianti stereo casalinghi. Lo scopo primario delle incisioni musicali è sempre stato quello di registrare con la massima qualità e fedeltà la perfomance di un artista sia essa in studio che dal vivo. A tal proposito non vogliamo imbarcarci in discorsi nostalgici, ma più semplicemente vogliamo assumere una precisa presa di posizione ampiamente condivisa da chi ama veramente la musica e ne fa la colonna sonora portante della propria vita. Purtroppo non la pensano così molti artisti e produttori di oggi che della compressione e dell'uso smodato del brickwall limiter fanno una costante per le proprie produzioni musicali. Questa smodata ricerca del volume è utilizzata spessissimo anche in fase di mastering allo scopo di aumentare di alcuni decibel il guadagno finale del brano, secondo i dettami della loudness war. Tuttavia non solo gli audiofili hanno cominciato a combattere la loudness war ma anche artisti molto famosi che si sono prodigati per cercare di andare contro questa dannosa tendenza. Persino un personaggio come Bob Dylan si è spinto a dichiarare : " Ascolti queste registrazioni moderne e scopri che sono atroci e che hanno un suono che copre tutto. Non c'è alcuna definizione, niente, nessuna voce, proprio come se fosse un rumore statico". Questo è quello che molti acquirenti hanno pensato nel 2008 quando venne pubblicato il famoso album dei METALLICA intitolato DEATH MAGNETIC. Il livello di masterizzazione del disco è talmente alto che l'album ha un suono piuttosto saturo sia che venga riprodotto su un computer portatile in cuffia sia su un impianto stereo di marca. A causa di tutto questo ci sono stare reazioni e commenti negativi ovunque a tal punto che molti fan hanno fatto una petizione online per far rimasterizzare l'album. Anche Ted Jensen che ha curato il mastering dell'album ha dichiarato : " Provo certamente simpatia per la vostra reazione negativa, sono arrivato a combattere e a sbattere la testa contro quel brickwall limiter ogni giorno. Putroppo in questo caso i mix erano già a livelli altissimi ancora prima che li ricevessi. Basti dire che mai e poi mai mi sarei spinto a saturare le cose nella misura in cui esse sono state pubblicate. Credetemi non sono orgoglioso di essere associato a quest'album. Possiamo solo sperare che qualcosa di buono possa venir fuori da questa situazione con una qualche forma di reazione contro la guerra del volume". Tornando indietro di qualche anno e più precisamente al 1999, molti fan si lamentarono allora della scarsa qualità sonora dell'album CALIFORNICATION dei RED HOT CHILI PEPPERS pubblicato su CD. Il volume sul CD è così forte che la registrazione soffre di saturazione digitale in maniera evidente al punto che persino gli occasionali ascoltatori sono arrivati a protestare creando una petizione online per la rimasterizzazione dell'album. Un altro caso eclatante che riguarda un album considerato, e non solo da noi , una pietra miliare della musica rock è NERVERMIND dei NIRVANA. Per celebrarne il ventesimo anniversario l'album è stato pubblicato in versione rimasterizzata. Putroppo, e con nostra grande delusione, anche questo bellissimo disco è stato vittima, in maniera piuttosto pesante, della guerra del volume. Il nuovo remaster di NEVERMIND è un disastro totale. La dinamica e la trasparenza della release originale sono scomparse, trasformando l'intero album in un pasticcio sonoro. L'impatto tra strofa e ritornello che ha reso famosi i Nirvana è sparito completamente rendendo ciascun brano piatto sotto ogni punto di vista. Il consiglio che possiamo darvi in situazioni del genere è quello di tenervi stretto il cd originale del 1991 o la versione per audiofili pubblicata dalla MFSL.

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CONCLUSIONI
Alcuni dicono che la compressione della gamma dinamica contribuisce a rendere le parti silenziose di un disco più facilmente udibili quando si ascolta la musica in ambienti rumorosi come ad esempio in macchina, oppure a tarda notte senza disturbare i vicini. I musicisti dovrebbero sempre chiedersi: perché le loro registrazioni devono essere adattate alle diverse situazioni di ascolto? E perché non implementare un pulsante che attivi la compressione sul riproduttore audio, in auto o a casa e lasciare che sia l'utente a regolare la gamma dinamica? Potrebbe essere una soluzione valida al problema e soprattutto potrebbe porre fine alla loudness war. La guerra del volume finisce purtroppo per far sempre un unica e sola vittima, la musica. Quando si evita di comprimere i singoli brani musicali in maniera cosi evidente la dinamica dei singoli strumenti dona alla musica la giusta propulsione ritmica, sia che si tratti di un concerto per violino sia di un brano di musica reggae. Il senso di rilassamento che ne consegue all'ascolto, si pone in forte contrasto allo stress generato dalla compressione pesante. L'ampia gamma dinamica permette invece un coinvolgimento più profondo nella musica, una maggiore facilità nel sentire tutte le parti musicali garantendo sessioni di ascolto decisamente più piacevoli e prolungate. Il senso di spazialità e di percezione della scena sonora vengono poste maggiormente in risalto contribuendo a portare l'ascoltatore più vicino all'evento musicale riprodotto. Allo stesso modo le basse frequenze mantengono una messa a fuoco e una spinta maggiore, non soffrendo dell'appiattimento che caratterizza i dischi più moderni. Anche le chitarre elettriche hanno una grinta che conferisce loro maggior presenza, ma che mai le rende predominanti su tutto il resto degli strumenti. Le sonorità che giocano nei registri superiori dello spettro sonoro mantengono la dolcezza armonica che hanno nella vita reale, senza il processo di inasprimento che accompagna la compressione. La stessa aria intorno ai musicisti rimane intatta e dona ampio respiro a tutto il disco. Ci sarà sempre chi in realtà userà la compressione come marchio di fabbrica delle proprie realizzazioni se questo è il suo obiettivo finale. Tali persone dovrebbero capire, però, che c'è un merito nel fare ancora dei dischi che suonano come la musica riprodotta dal vivo. Gli artisti dovrebbe levarsi dalla testa una volta per tutte che i loro dischi, se masterizzati ad alti volumi, suoneranno più forti degli altri alla radio. Robert Orban, CEO e capo ingegnere di Orban ha da dire la sua in merito. La Orban equipaggia la maggior parte delle stazioni radiofoniche in America e in alcuni parti del mondo. Quando un disco viene mandato in onda in radio attraverso le sue apparecchiature il segnale audio subisce un ulteriore compressione, un ulteriore processo di limitazione della gamma dinamica uniformandosi così, come volume, al resto della musica che viene trasmessa dalla radio stessa. In questo modo anche il segnale audio più basso come livello viene portato alla massima resa e quello già pesantemente compresso subisce un ulteriore diminuzione. Queste apparecchiature non sono certo state progettate per rendere la musica migliore di quanto fosse stato fatto in origine. Il processo di trasmissione radiofonica rimuove tutta la dinamica originale della canzone e l'inizio del brano suona allo stesso volume del ritornello. Maggiore poi è il livello di registrazione del CD originale, più compressa e distorta sarà la sua resa una volta trasmesso on the air. In conclusione vogliamo dire che per fortuna questa loudness war si sta avviando ad una conclusione grazie anche alle forti campagne di sensibilizzazione fatte da siti web come Pleasurize Your Music e Turn me up! Entrambe sono organizzazioni senza scopo di lucro che riuniscono insieme gruppi di artisti e professionisti della registrazione audio altamente qualificati allo scopo di pubblicare dischi dall'elevata gamma dinamica. A questo punto vorremmo sinceramente suggerire a tutti gli artisti, produttori e ingegneri del suono di evitare la compressione solo per aumentare il volume delle proprie opere perchè su tutti gli impianti stereo di questo mondo, sia quelli presenti in macchina sia quelli di casa, esiste una manopola che regola proprio il volume di ascolto. Quindi sia che siate dei professionisti che degli ascoltatori occasionali, se davvero volete che la vostra musica sia più alta come volume e vi fornisca in questo modo un maggior impatto emozionale usatela quella benedetta manopola!!! Sempre!!!

Francesco Donadel Campbell, Editore HDPhonic.com

Articolo e foto sono proprietà di hdphonic.com e qui pubblicati su gentile concessione dell'autore Francesco Donadel Campbell

Kreisleriana: la musica dell’inconscio.

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Per fantasia si intende una composizione assai libera, non codificata, analoga al “ricercare”; l’opera 16 è ispirata dal romanzo autobiografico ed ironico di E.T.A. Hoffmann “Punti di vista e considerazioni del gatto Murr sulla vita nei suoi vari aspetti e biografia frammentaria del maestro di cappella Johannes Kreisler su fogli di minuta casualmente inseriti” (1820/22), in cui il gatto Murr, osservando il suo maestro Kreisler intento a scrivere la sua autobiografia, impara a leggere e a scrivere e inserisce la sua storia con la sua visione del mondo e degli uomini nel retro delle pagine bianche. Nel libro quindi l’impaginazione è discontinua e interrotta da due autori il Maestro Kreisler e il gatto, che di notte scrive, e si firma.

Mentre il lettore potrà orientarsi con facilità nel testo, purché ci si usi la cortesia di osservare le sigle fra parentesi: (F.i. fogli inseriti; S.m.: segue Murr). E’possibile trasportare la stessa chiave di lettura nella complessa opera musicale.
Come il poeta Hoffmann si rappresenta all’interno del proprio romanzo, altrettanto fa Schumann, che adotta il nome Kreisler per quello che possiamo definire il suo “autoritratto”, il suo modus costruttivo. Ma a differenza del gatto scrittore di Hoffmann, il gatto Murr di Schumann si evolve e diventa musicista, comunicando con lui attraverso la sua stessa musica. Non altrettanto immediata perciò, è la comprensione di questo brano e la consapevolezza di ciò che si sta ascoltando.

Come semplici ascoltatori, tentiamo un’analisi attraverso il riconoscimento delle singole partiture.
L’opera, scritta in solo 4 giorni, si presta ad una analisi di tipo psicologico, nella quale è essenziale inserire la complessa personalità dell’autore, che firmava con pseudonimi diversi a seconda della parte di sé che in quel momento era protagonista della scrittura musicale; ricordiamo che Schumann utilizzava tre pseudonimi che sono: “Eusebio” per la parte propriamente “maschile” forte e irruenta; “Floristano” per la parte “femminile” struggente e gentile; quindi poi “Maestro Raro” che interviene, raramente, quando le due parti opposte litigano fra di loro.

Analizziamo sotto il brano nelle sue singole parti, associando ad ogni movimento gli stati d’animo:

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Ascoltando l’opera num 16, sin dal primo brano, si alternano come avviene in un processo terapeutico, le tracce “dell’inconscio” o “impronte sonore” del gatto, e si avvertono le resistenze dei meccanismi di difesa, cioè le barriere che la coscienza costruisce intorno ad un pensiero o linguaggio “non riconosciuto”. Da questo conflitto psichico o musicale, procede la Kreisleriana, alternando movimenti di forza straziante e collera, a momenti delicati, nati dal contatto della più profonda e trasparente intimità, dove prende vita la forma immateriale di un sentimento.

Nella parte centrale inizia un dialogo lento e leggermente mutante in un’atmosfera con sfumature dorate. Come in un gioco amoroso le due entità opposte si guardano seminascoste con un sorriso ironico. Solamente nell’ultimo brano, il conflitto viene abbandonato (come in quello che viene chiamato “transfert” ossia la riedizione del sentimento d’amore, trasferito in una persona o specchio, riconosciuto e identificato dalla coscienza (maestro raro).
L’ ”uomo” Schumann, seguendo il proprio inconscio crea attraverso la propria arte se stesso.

Come scrisse alla moglie “ … quando tu leggerai la musica che ho scritto. Ascoltando il primo e l’ultimo movimento, solo tu potrai capire … ”. Con questa criptica affermazione si intuisce un cerchio che unisce il primo e l’ultimo tempo.


Marina Pacini 
con un ringraziamento al maestro U. Zanarelli

Questo articolo è aperto alle persone che volessero contattarmi e ai musicisti interessati ad un commento, ad una critica, o ad una esecuzione divulgativa del pezzo, in onore di questo grande compositore ancora da scoprire ed utile in questo contesto sociale.

Dell'ascolto

La musica è l’arte che meglio rende il significato di “creazione”. L’opera musicale, si palesa da un luogo in cui vita e morte del suono si confondono: il silenzio. L’onda sonora, materia duttile e impalpabile, investe fisicamente chi è in ascolto e in questa sorta di scontro tra due entità che occupano il medesimo spazio (io e il suono che si insinua dentro il mio corpo) si concretizza l’esperienza estetica.
L’affermazione con cui Stravinskij puntualizza che la musica, in quanto suono, è una “cosa”, pertanto essa non esprime alcunché, va intesa come un invito a partecipare all’unione tra l’ascoltatore e l’opera: un rito che si consuma ogni volta che udiamo risuonare una musica. L’ascolto in effetti è il luogo in cui risiede il senso profondo di un pensiero espresso in suoni.          
Chi ascolta ha quindi il compito di infondere linfa vitale al pensiero espresso in suoni. Ha anche la prerogativa di scegliere di volta in volta il genere di approccio all’evento musicale. Consideriamo due atteggiamenti opposti, che possiamo indicare come “sentire” e“ascoltare”. Il primo consiste nel respingere qualsiasi stimolo che possa indurre pensieri e considerazioni che riguardino i suoni: una sorta di abbandono al puro piacere estetico che appaga i sensi. Il “sentire” è un atto di fuga dal peso del ragionamento, in altri termini, implica una condizione di relax in cui la musica gioca un ruolo fondamentale ma non le è concesso di catturare anche la ratio e farle spazio tra i meandri della sua intima essenza. Più che uno scontro questo atteggiamento fa pensare a un incontro fugace. L’ “ascoltare”, invece, fa del soggetto fruitore parte integrante dell’evento sonoro. Ciò accade quando un suono invita chi lo ascolta a riflettere sul senso, sulla ragion d’essere del suono stesso, all’ascolto consapevole. C’è qualcosa di paradossalmente irrazionale in tutto ciò, nel fatto, cioè, che una “cosa” o oggetto agisca su di noi come un soggetto, che un pensiero chieda di essere pensato. Ma è quanto accade. Che la musica, in quanto suono, sia “cosa” è fuor di dubbio. È cosa concreta, per di più, ma è talmente “leggera” che sfugge persino alla forza di gravità. Anche l’emissione verbale è suono, è vero, ma a differenza della musica, la parola non si fissa in altezze stabilite e il senso del discorso parlato scaturisce dalla semantica della parola. Le note invece non hanno un significato prestabilito: sono suoni che hanno senso solo se inquadrati nella totalità del costrutto musicale: nell’opera d’arte. Per essere arte, il verbo deve farsi letteratura o poesia. La musica, invece, grazie alla propria forma esteriore viene immediatamente intesa come oggetto d’arte (e accade spesso di [fra]intendere come tale anche ciò che non lo è).
Schönberg è persino ancora più diretto nel reclamare la partecipazione dell’ascoltatore perché sia dato senso all’espressione di un pensiero in suoni: nel presentare le Sei bagatelle per quartetto d’archi op. 9 di Anton Webern, infatti, dichiara: «Questi pezzi saranno compresi unicamente da coloro che credono che la musica possa dire cose che si possono esprimere soltanto in musica.» Chiedeva semplicemente uno sforzo di comprensione, Schönberg, non un atto di fede, bensì un ascolto consapevole. La musica di Webern, poi, con la sua forma aforistica, carica di espressione, e la scrittura sempre rigorosa che domina l’opera del compositore più radicale di tutta la seconda scuola viennese è esemplare nel reclamare a gran voce la comprensione. É un microcosmo in cui nulla è superfluo, che si espande a dismisura, senza mai ripetersi nell’affermare le proprie verità. Le melodie di timbri e le complesse architetture speculari delle opere dodecafoniche weberniane conducono l’ascoltatore verso vette elevatissime dove, inebriati da un’aria rarefatta, ascoltare il silenzio come è riscontrabile in natura, cioè carico di suono. È un luogo dove il suono muore per rinascere a nuova vita, dove torniamo ogni volta che sentiamo spegnersi un triplice pianissimo e cogliamo un crescendo che sembra essere scaturito dall’inaudibile. 
Webern, con i suoi silenzi, ci offre una verità dai molteplici aspetti, fatta di schegge di assoluta purezza, innumerevoli, come infinite e diverse sono tanto le condizioni di ogni singolo ascolto, quanto le umane verità. Per capire un’opera è bene ascoltarla seguendone la partitura. Non occorre conoscere la musica per collegare un suono alle note, basta sapere che quelle scritte in alto sono acute e quelle in basso sono gravi e che la loro durata si evince dalle astine che collegano le stanghette delle note: più ne recano, più è breve la loro durata. Non può dirsi una vera e propria lettura della partitura, ma permette comunque di cogliere la forma visibile del fatto sonoro. Per esempio, le note iniziali della prima delle Variazioni per pianoforte op. 27 di Webern, cioè l’esposizione della serie dodecafonica fondamentale, assumono la forma di due “riccioli”speculari. Vederne la rappresentazione grafica ci aiuta a percepirle meglio: questa variazione è infatti un intreccio di figure speculari che determinano l’elaborazione di ogni parametro della composizione. [1]
Non si può disporre della partitura di tutte le opere che si ascoltano, è ovvio, quindi di norma bisogna fare affidamento esclusivamente sulla letteratura specifica: saggi, analisi e commenti, che sono facilmente reperibili. Un programma di sala, o il booklet del cd, costituiscono il primo approccio, l’introduzione alla letteratura scientifica, poi si possono affrontare le letture più impegnative. Un altro modo per approfondire la nostra conoscenza della materia sonora è la partecipazione a incontri, seminari e conferenze. La musica d’arte, soprattutto quella contemporanea, vuole essere compresa, per questo associazioni concertistiche, università e istituti che operano nel settore organizzano regolarmente delle conferenze, spesso davvero interessanti, che permettono di avvicinarci ad un ascolto consapevole in modo efficace e diretto, sotto la guida di chi della musica - e dell’ascolto - ne ha fatto una professione. Chi si accosta alla musica non è mai sazio di conoscerla, perché – come sostiene Luigi Nono – fa esperienza di un vero e proprio “innamoramento”, cosa che, come si sa, comporta un’implacabile sete di conoscenza – non a caso l’accezione biblica di questo termine – dell’oggetto amato. La graduale scoperta dei suoi molteplici aspetti permette di appropriarsi di piccole (o grandi) verità che regalano brevi, ma felicissimi lassi di tempo della nostra esistenza.

Guido Peri
 
 
[1] Tra le varie analisi delle Variazioni op. 27 raccomando quella di Edison Denisov, purtroppo difficilmente reperibile, tradotta da P.E. Carapezza e pubblicata su Collage, rivista internazionale di nuova musica ed arti visive contemporanee (Palermo, 1963/70).

Sistemi Sonori alle mostre … Audio come tappezzeria?

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Louis Motek
Negli ultimi due o tre decenni l’industria dell’elettronica audio ha deciso di prescindere dalla convinzione che la fedeltà della riproduzione sonora è importante. Tragicamente, per il pubblico in generale, la musica è stata ridotta al ruolo di un elemento di design d'interni: niente di più che un’ostentazione di stile di vita nella quale investire, e della quale parlare agli amici. Come se la scelta della carta da parati e del sistema audio siano in qualche modo la stessa cosa. La musica è considerata un extra, se davvero la si vuole ascoltare, è possibile farlo, l’impianto è lì. L’altra opzione è giocherellare coi 200 tasti per raggiungere il nirvana audio, con pannelli a LED stile Times Square, che ammiccano quando li premiamo senza sapere a cosa servono, ma che immaginiamo ingenuamente utili, se qualche ingegnere in Giappone li ha creati … se non altro, per dare lavoro  all'ufficio marketing che può così parlare di nuovi brevetti tecnologici nei nuovi modelli. Che si tratti di vendita di fuochi d'artificio o di un sistema audio non ha molta importanza; come ebbe a dire Roger Waters: "As long as the kids go." Tradotto da Orietta Berti suonerebbe: “Fin che la barca va … (NdT)
Ma in realtà, una stanza scarsamente attrezzata, nella quale un essere umano vive ed ascolta musica, è più preziosa di un’altra, provvista di un impianto multimilionario, utilizzato solo per essere mostrato agli ospiti. L'ascoltatore sente la necessità di scoprire di volta in volta che cosa significa essere umani, così da entrare nel misterioso regno della fantasia e dell’intuizione degli artisti, e di sentirsi vicino agli abitanti all’altro capo del Mondo, ed oltre il tempo. Ciò che gli artisti hanno messo su nastro è importante, perché toccherà direttamente le nostre anime. Gli apparecchi di registrazione e riproduzione equivalgono a macchine del tempo, racchiudendo la Storia nei suoni. L'ascolto della musica è più di un passatempo. La Musica nasce dalla nostra umanità più elementare, dal profondo del nostro sentimento. Albert Einstein ha detto bene: l'unica cosa di reale valore è l'intuizione. Questo noto genio suonava il violino e condusse una vita ricca di esperienze che gli suscitavano meraviglia e stupore. Chiamatelo come volete: il bambino dentro, l'eterno studente, il gusto della vita, la voce di Dio - non importa. Ciò che conta è che siamo tutte barche sullo stesso mare e siamo tutti capitani che imparano l’uno dall’altro a conoscere le stelle del cielo. La comunicazione è molto utile. Ma la comunicazione richiede l’assenza di interferenze. Ogni discorso deve essere intelligibile. Su una linea telefonica, questo si ottiene con pochi bit di audio digitale ed alcuni algoritmi di compressione davvero affascinanti. Quelli, invece, che scoprono l'oceano infinito di bellezza e conoscenza che è stato registrato sotto forma di musica, naturalmente, pretendono maggiore precisione e qualità dal loro sistema di riproduzione. Non per amore dei componenti elettronici, ma per quello della vicinanza all'evento audio registrato. Il suo contenuto è così vasto e profondo, il vocabolario musicale così illimitato nelle sue sfumature e tocco espressivo, che una qualità da linea telefonica sarebbe estremamente limitativa per le informazioni sublimi che deve comunicare.

Louis Motek
Managing Director
LessLoss Audio

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