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Teatro Municipale di Piacenza:
Wolfgang Amadeus MOZART
Requiem in re minore KV 626

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Piacenza, 30 aprile 2016

Il Requiem di Mozart è spesso nei cartelloni delle stagioni concertistiche dei vari teatri italiani. Sabato 30 aprile è stato il turno del Teatro Municipale di Piacenza, con l’aiuto dell’Orchestra Filarmonica Arturo Toscanini diretta dal Maestro Rinaldo Alessandrini ed il Coro del Teatro Municipale di Piacenza diretto dal Maestro Corrado Casati (persona piacevole e semplice che ho avuto il piacere di conoscere).

Visto che la composizione è nota a praticamente tutti coloro che si occupano di musica classica, non starò a riscrivere cose che, a proposito di quella composizione ma di altre esecuzioni, già ho scritto su Audio-Activity.com.

Inizierò piuttosto con le note positive che riguardano coro e orchestra. Coro di eccellente coesione, timbro, potenza, capace di ampie dinamiche, con tonalità fresche dovute anche alla maggior parte dei componenti, persone giovani. I suoni forti non sono mai suoni “urlati”, ma sono sempre suoni che mantengono la stessa purezza di timbro all’interno delle singole tessiture.

Gli applausi finali mi hanno dato conferma di quanto ho scritto, perché quando alla fine il Maestro Alessandrini ha indicato il coro, il pubblico ha tributato una vera e propria ovazione.
L’orchestra, precisa, puntuale, capace di un gioco d’insieme che forse nemmeno necessita di un direttore. E soprattutto sorprendente perché il Maestro Alessandrini ha voluto un suono quasi privo di vibrato e l’orchestra l’ha assecondato benissimo; ma ricordo che il repertorio d’elezione dell’orchestra è ben diverso dalle composizioni barocche e quindi il vibrato per loro è la regola. Bene, non lo avevano. E questa capacità di adattamento significa bravura dei professori  d’orchestra e una tecnica che permette di fare ciò che vuole il direttore.

L’esecuzione voluta dal Maestro Alessandrini ha suscitato invece molte perplessità, non solo mie, ma anche raccolte sia in platea che nel foyer. Entusiasta il pubblico giovane, molto perplesso il pubblico più agé.
Veloce. Questo è certo. Superficiale, questo quel che è apparso.

Già dall’Introitus lo stupore è stato grande. Totalmente “staccato”, a indicare forse il passo del defunto che si presenta al cospetto del Divino; tuttavia l’incedere non era tentennante, impaurito, ma una semplice camminata che un po’ stona con il testo sacro e con quel che un Requiem significa. Veloci tutti i tempi, compreso un frettoloso Lacrimosa in cui anche le dinamiche sono state tenute tutte abbastanza piatte, tutto giocato tra il mezzoforte e il forte. Forse quella velocità si adattava più al Dies Irae e al Confutatis, ma anche nel loro caso, la mancanza di dinamiche e la decisione di tenere tutto su sonorità forti, ha lasciato perplessi.

Il Benedictus è stato invece tenuto con tempo più corretto, così da non sminuire la piacevolezza e gli incastri tra le voci del quartetto di solisti. Molto veloce e quasi frettoloso il finale.

L’impressione avuta alla fine della performance è stata che il Maestro Alessandrini abbia voluto limitarsi a rendere evidente la bellezza della musica, sfruttando il notevole potenziale offerto da orchestra e coro; ma non basta far tuonare i timpani, o spingere al limite i tromboni, per dare un effetto “tragico” ad un Requiem. E’ anche questione di fraseggio, un fraseggio che pare essere stato  limitato ad una lettura solfeggiata della partitura. Se quel tipo di lettura è pensabile in una Passione bachiana (o per stare in ambito di Requiem, in quello di Jean Gilles), figlia di un’epoca in cui il lato estetico aveva grande importanza, diventa difficile accettarlo in Mozart, soprattutto dopo le tante esecuzioni che da Harnoncourt a Celibidache e Karajan, tutti abbiamo nell’orecchio.
Peraltro ha sorpreso molto la decisione di variare la prima frase del Tuba Mirum; non solo poco comprensibile, ma anche un po’ fuori tempo, perché la variazione sistematica era figlia del barocco.

Non si è compreso se il Requiem rappresentasse la paura della morte, l’accettazione della stessa o la rassegnazione pura. Si è avuta solo una bella esecuzione, senza sbavature, molto precisa; tuttavia poco coinvolgente e portata indietro nel tempo, come fosse stata scritta un centinaio d’anni prima.

I cantanti. Ottimi José Maria Lo Monaco, mezzosoprano, con un timbro molto bello e il basso Michele Pertusi. Qualche problema non solo di emissione della soprano Mariangela Sicilia e del tenore Jesus Garcia i cui “portamenti” sono parsi inadeguati alla partitura.

Peccato per l’errore iniziale della soprano, ma è anche vero che il direttore d’orchestra dovrebbe dare gli attacchi ai cantanti, cosa che non è accaduta.

​Alla fine l’applauso è stato comunque caloroso; orchestra e coro assoluti protagonisti. Le vere star della serata sono state loro. E la musica di Mozart.
 
Domenico Pizzamiglio
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