Totaldac A1
Il piccolo di casa Totaldac. Un apparecchio semplice, quasi scarno, addirittura privo di un semplice led d’accensione sul pannello frontale. Il tasto d’accensione è sul retro; ritengo quindi che l’A1 sia nato per essere tenuto sempre acceso, anche perché praticamente non scalda. I convertitori interni sono proprietari di Totaldac; per l’alimentazione, oltre la solita rete di filtraggio, si fa uso di un trasformatore toroidale di buone dimensioni e capacità. Sul retro, oltre alla presa IEC per l’alimentazione, ci sono solo i due connettori per le uscite e un connettore in ingresso, coassiale elettrico a 75 Ohm. Ad un primo sguardo, quindi, si potrebbe pensare che questo DAC sia stato concepito per l’uso con un normale lettore CD, mentre invece non è così perché è stato concepito per l’uso con il D1 Server. Una notazione sul livello di uscita, piuttosto alto e pari a 3,3 V; il rumore di fondo resta ben lontano e la musica nasce da un maggior silenzio, con beneficio di tutti i segnali più deboli che diventano così ben udibili.
Ma dopo tutto questo, come suona questo DAC? In fondo è questo quel che interessa, posto che il tanto parlare che si è fatto del marchio nasce da ascolti, fatti in dimostrazioni pubbliche oppure perché ne sono state fatte delle recensioni. Per scoprirlo il DAC è stato inserito nel mio consueto sistema così composto: giradischi Bauer DPS con braccio Morch DP6 e testine Denon DL S1 e Lyra Kleos, con pre-fono American Hybrid Technology; la meccanica di un lettore CD Pioneer PD9 e una meccanica CEC TL 51; preamplificatore il Lavardin 62 (e per qualche giorno lo Spectral DMC 12) e finali di potenza lo Spectral DMA 50 e il Wyred 4 Sound ST 250; sistema di altoparlanti le Audio Note AN E SPx, oltre ai consueti cavi già citati in altri scritti.
Ma dopo tutto questo, come suona questo DAC? In fondo è questo quel che interessa, posto che il tanto parlare che si è fatto del marchio nasce da ascolti, fatti in dimostrazioni pubbliche oppure perché ne sono state fatte delle recensioni. Per scoprirlo il DAC è stato inserito nel mio consueto sistema così composto: giradischi Bauer DPS con braccio Morch DP6 e testine Denon DL S1 e Lyra Kleos, con pre-fono American Hybrid Technology; la meccanica di un lettore CD Pioneer PD9 e una meccanica CEC TL 51; preamplificatore il Lavardin 62 (e per qualche giorno lo Spectral DMC 12) e finali di potenza lo Spectral DMA 50 e il Wyred 4 Sound ST 250; sistema di altoparlanti le Audio Note AN E SPx, oltre ai consueti cavi già citati in altri scritti.
L’ascolto di questo DAC è stato caratterizzato da una reazione tanto particolare quanto rara. Dopo averlo lasciato acceso per 24 ore, ho inserito nel lettore il primo CD, la Quinta Sinfonia di Dmitri Shostakovic su Naxos, nell’esecuzione di Vassili Petrenko. Quando la riproduzione è iniziata, ho rilevato subito che il basso era molto fermo, potente, ma mai lento; giusto, naturale e che forse la parte più alta dello spettro era appena sfumata. L’ascolto è poi proseguito, ma in realtà io mi sono completamente scollegato dal ruolo di “critico” per immergermi nella musica; il DAC non mi interessava più. Stava facendo il suo lavoro, bene, anzi talmente bene da essersi reso invisibile e completamente asservito alla musica. Questo non è molto audiofilo, perché solitamente quando ascoltiamo vogliamo discernere il basso dall’acuto e il medio dal medio-basso; ma con questo DAC tutto vanifica, molti dei parametri audiofili perdono senso e ci si ritrova ad ascoltare lei, “la Musica”. E dire che non è il primo DAC che passa per casa e non è nemmeno di quelli tra i più costosi passati in precedenza.
Difficile cercare un parametro deficitario; si fatica a trovarlo. La dinamica? C’è e più ce n’è nella registrazione, con più complicità sembra lavorare il DAC. La risposta in frequenza? Forse un leggerissimo accenno di morbidezza sull’estremo acuto; ma dopo un po’ che si ascolta, ci si domanda quanto conti quel “forse”. In realtà ho provato serie difficoltà nel fare il recensore audiofilo e mi sono invece rimesso nel mio più naturale ruolo di melomane convinto. E questo è accaduto a tutti gli amici passati per casa; all’inizio tentavano di essere ipercritici, ma poco dopo abbandonavano i giudizi sull’estetica del suono per ascoltare solo l’estetica della musica.
Difficile cercare un parametro deficitario; si fatica a trovarlo. La dinamica? C’è e più ce n’è nella registrazione, con più complicità sembra lavorare il DAC. La risposta in frequenza? Forse un leggerissimo accenno di morbidezza sull’estremo acuto; ma dopo un po’ che si ascolta, ci si domanda quanto conti quel “forse”. In realtà ho provato serie difficoltà nel fare il recensore audiofilo e mi sono invece rimesso nel mio più naturale ruolo di melomane convinto. E questo è accaduto a tutti gli amici passati per casa; all’inizio tentavano di essere ipercritici, ma poco dopo abbandonavano i giudizi sull’estetica del suono per ascoltare solo l’estetica della musica.
Una piccola notazione personale; collegato il DAC all’impianto, mi sono un po’ dimenticato del mio amore, ovvero il giradischi analogico. Ma mentre ascoltavo il DAC è arrivato il mio regalo natalizio – un po’ in ritardo, invero – cioè la testina Lyra Kleos. In altre condizioni, avrei abbandonato il digitale per immergermi nell’ascolto della testina; invece questa volta gli ascolti sono stati accuratamente suddivisi, una sera digitale e una sera analogico.
Comunque scenderò in qualche particolare in più. La scena del DAC A1 è dipendente in tutto da quanto è nella registrazione; le differenze tra una riproposizione e l’altra sono notevoli. Gli strumenti sono completi armonicamente ed appaiono ben dimensionati all’interno della scena che risulta completamente svincolata dalle casse acustiche, tranne nei casi in cui l’ingegnere del suono abbia deciso per un effetto destro/sinistro molto marcato (come in Stories, su cd Harmonia Mundi – indicato nella rubrica “Cinque registrazioni”, tra la musica vocale, qui su Audio-Activity.com).
Tuttavia la pressoché totale assenza di effetti che possano rendere la musica più piacevole o con qualche effetto di troppo, porta a passare registrazione su registrazione, con la voglia costante di ascoltare ciò che già si pensava di conoscere bene. E’ il caso della realizzazione Naxos contenente il Fratres di Arvo Part, registrazione ascoltata tantissime volte; eppure, come accaduto alla sede di Totaldac, anche qui a casa mi sono reso conto che l’attacco dei violini non è all’unisono, ma che alcuni orchestrali partono con un breve ritardo. A qualcuno sembreranno particolari di poco conto, ma per chi frequenta la musica dal vivo, l’estrazione di così tanto particolari aiuta a ricostruire una situazione ben nota ed in fondo interessa chiunque perché le buone registrazioni fanno venir voglia di ascoltare ancor di più.
Mi ha molto impressionato l’ascolto della Messa in Si Min. di Bach nell’esecuzione di Minkoski e i suoi Musiciens du Louvre; l’esecuzione è quel che è (sono sempre contrario a certe estremizzazioni, come eseguire una Messa come quella in Si Min “a parti reali”, con un solo cantante per sezione; a Bach sarà capitato si e non in sala prove e solo in un periodo o di forti malanni invernali), ma la registrazione non è niente male e il Totaldac mi ha riportato in salotto tutta la compagine, con anche quei timpani ripresi più da lontano; e che sono lontani non si capisce dal fatto che tali risultino perché il livello acustico è più basso, ma perché sono diverse le risonanze ambientali che li fanno apparire lontani e più ovattati rispetto ai cantanti in primo piano. E passando alla stessa composizione nell’esecuzione di Sigiswald Kuijken con la sua Petite Bande mi rendo conto di quanto avesse ragione quel critico di “Diapason” che parlava della meravigliosa timbrica dell’organo che accompagna alcune arie; aveva ragione e quell’organo si materializza tra gli altoparlanti.
E anche le voci traggono beneficio perché non ci sono depressioni in quella regione medio-acuta ove cade la maggior parte della definizione del timbro vocale; la Cecilia Bartoli di Italian Songbook (Decca) ne dà prova. Definita, vera, con tutte le prese di fiato che si sentono perfettamente ma senza che diano alcun fastidio.
E non posso non citare perché è un grande amore il Vespro della Beata Vergine di Monteverdi, l’esecuzione di Gardiner su Archiv; la grana nelle voci presente in alcune parti del coro non viene certo mitigata dall’uso del Totaldac, ma in ogni caso le sonorità sono naturali e anche in questo caso risulta difficile dire che qualcosa non va; cercando con la lente d’ingrandimento, forse le voci del coro infantile sono leggermente meno “affaticanti” di quanto sarebbero dal vivo (e come lo sono state in precedenti ascolti). Ma questo incide poco sull’ascolto che anche qui porta a dimenticarsi dell’impianto per concentrarsi sulla composizione.
Insomma, direi che Vincent Brient tiene fede a quel che mi ha detto durante l’intervista e fuori da quella (non mi è sembrato utile trascrivere tre ore di ascolti e chiacchiere e ho estratto solo le parti salienti); questo DAC è un DAC per la musica e sembra scomparire. Semmai il limite è il non poterlo ascoltare se non in fiere, o presso la sede del produttore (parlo per noi italiani, ovviamente, perché i tedeschi, per esempio, sono favoriti dal fatto che possono andare presso Voxatif per un ascolto). Ma è la scelta del produttore che preferisce trattare direttamente con il cliente; ed in fondo un giro in Bretagna, usando aerei low-cost non comporta costi proibitivi. E poi si vede anche una regione bellissima, dove si mangia benissimo e dove si respira un’aria di educazione e rispetto che è piuttosto rara.
Domenico Pizzamiglio
Produttore: Totaldac
Comunque scenderò in qualche particolare in più. La scena del DAC A1 è dipendente in tutto da quanto è nella registrazione; le differenze tra una riproposizione e l’altra sono notevoli. Gli strumenti sono completi armonicamente ed appaiono ben dimensionati all’interno della scena che risulta completamente svincolata dalle casse acustiche, tranne nei casi in cui l’ingegnere del suono abbia deciso per un effetto destro/sinistro molto marcato (come in Stories, su cd Harmonia Mundi – indicato nella rubrica “Cinque registrazioni”, tra la musica vocale, qui su Audio-Activity.com).
Tuttavia la pressoché totale assenza di effetti che possano rendere la musica più piacevole o con qualche effetto di troppo, porta a passare registrazione su registrazione, con la voglia costante di ascoltare ciò che già si pensava di conoscere bene. E’ il caso della realizzazione Naxos contenente il Fratres di Arvo Part, registrazione ascoltata tantissime volte; eppure, come accaduto alla sede di Totaldac, anche qui a casa mi sono reso conto che l’attacco dei violini non è all’unisono, ma che alcuni orchestrali partono con un breve ritardo. A qualcuno sembreranno particolari di poco conto, ma per chi frequenta la musica dal vivo, l’estrazione di così tanto particolari aiuta a ricostruire una situazione ben nota ed in fondo interessa chiunque perché le buone registrazioni fanno venir voglia di ascoltare ancor di più.
Mi ha molto impressionato l’ascolto della Messa in Si Min. di Bach nell’esecuzione di Minkoski e i suoi Musiciens du Louvre; l’esecuzione è quel che è (sono sempre contrario a certe estremizzazioni, come eseguire una Messa come quella in Si Min “a parti reali”, con un solo cantante per sezione; a Bach sarà capitato si e non in sala prove e solo in un periodo o di forti malanni invernali), ma la registrazione non è niente male e il Totaldac mi ha riportato in salotto tutta la compagine, con anche quei timpani ripresi più da lontano; e che sono lontani non si capisce dal fatto che tali risultino perché il livello acustico è più basso, ma perché sono diverse le risonanze ambientali che li fanno apparire lontani e più ovattati rispetto ai cantanti in primo piano. E passando alla stessa composizione nell’esecuzione di Sigiswald Kuijken con la sua Petite Bande mi rendo conto di quanto avesse ragione quel critico di “Diapason” che parlava della meravigliosa timbrica dell’organo che accompagna alcune arie; aveva ragione e quell’organo si materializza tra gli altoparlanti.
E anche le voci traggono beneficio perché non ci sono depressioni in quella regione medio-acuta ove cade la maggior parte della definizione del timbro vocale; la Cecilia Bartoli di Italian Songbook (Decca) ne dà prova. Definita, vera, con tutte le prese di fiato che si sentono perfettamente ma senza che diano alcun fastidio.
E non posso non citare perché è un grande amore il Vespro della Beata Vergine di Monteverdi, l’esecuzione di Gardiner su Archiv; la grana nelle voci presente in alcune parti del coro non viene certo mitigata dall’uso del Totaldac, ma in ogni caso le sonorità sono naturali e anche in questo caso risulta difficile dire che qualcosa non va; cercando con la lente d’ingrandimento, forse le voci del coro infantile sono leggermente meno “affaticanti” di quanto sarebbero dal vivo (e come lo sono state in precedenti ascolti). Ma questo incide poco sull’ascolto che anche qui porta a dimenticarsi dell’impianto per concentrarsi sulla composizione.
Insomma, direi che Vincent Brient tiene fede a quel che mi ha detto durante l’intervista e fuori da quella (non mi è sembrato utile trascrivere tre ore di ascolti e chiacchiere e ho estratto solo le parti salienti); questo DAC è un DAC per la musica e sembra scomparire. Semmai il limite è il non poterlo ascoltare se non in fiere, o presso la sede del produttore (parlo per noi italiani, ovviamente, perché i tedeschi, per esempio, sono favoriti dal fatto che possono andare presso Voxatif per un ascolto). Ma è la scelta del produttore che preferisce trattare direttamente con il cliente; ed in fondo un giro in Bretagna, usando aerei low-cost non comporta costi proibitivi. E poi si vede anche una regione bellissima, dove si mangia benissimo e dove si respira un’aria di educazione e rispetto che è piuttosto rara.
Domenico Pizzamiglio
Produttore: Totaldac