VAC Sigma 160i
VAC è uno di quei prodotti che destano sempre la curiosità dell’audiofilo, oltre ad una buona dose di smania da possesso. E questo non credo dipenda solo dal fatto che essendo costoso, per molti rappresenti un sogno, ma perché il suono è sempre convincente. Raramente, per non dire mai, mi è capitato che chi si sedesse davanti ad un impianto amplificato VAC ne restasse deluso. E’ invariabile che ad ogni fiera di settore, quando varco la soglia e incontro degli amici che mi suggeriscono ascolti interessanti, mi senta dire “sei già andato da Mondo Audio?” (che è il distributore italiano del marchio americano); e proseguono con frasi “mamma mia, come suonano i VAC!”. E devo dire che in linea generale poi vado nella saletta, ascolto e traggo conclusioni analoghe.
Ma l’esperienza con VAC va oltre gli ascolti da esposizione, perché ci sono state due occasioni d’ascolto in condizioni per me più controllate, perché è indubbio che io conosca bene anche l’impianto di Angelo Jasparro, così come lui conosca bene il mio; e Angelo i VAC li ha già provati ed io li ho potuti ascoltare da lui, scoprendo come poi questi VAC, pur essendo valvolari, cancellino e neghino ogni addebito che i detrattori dei tubi termoionici portano avanti come vessillo. Della valvola classica i VAC mantengono solo un aspetto, il medio-alto acceso, chiaro, pulitissimo, mentre non presentano praticamente nessuno dei caratteri sonici (qualcuno li chiama anche “colorazioni”) di buona parte delle amplificazioni valvolari che circolano nel nostro mondo audiofilo e che creano quindi l’esistenza dei detti detrattori (e ovviamente le lunghe schiere di fans).
Posso anche anticipare che il costo è alto; tuttavia, se confrontato con certa concorrenza giapponese o inglese (non serve che faccia i nomi; chi legge ha già capito benissimo) è assolutamente adeguato alle prestazioni ed alla finitura; magari non ci saranno pepite d’oro o filamenti in argento e platino, ma quando suona, suona e lo fa in modo tale da calmare molte delle smanie audiofile, rendendo tranquillo e sereno qui lo ascolta.
Bella macchina, ben costruita, ben rifinita, grande (un po’ ingombrante a dire il vero), con i suoi oltre trenta chili di peso questa macchina ha “profumo” di concretezza; una concretezza che sfocia negli oltre ottanta watt per canale (86, per la precisione) che pilotano a dovere le mie Audio Note AN E SPx ma che possono portare a spasso tanti altri sistemi di altoparlanti, anche non efficientissimi. L’apparecchio ha tre ingressi, oltre al Phono MM; un eventuale ingresso bilanciato e l’ingresso Phono MC sono opzionali. C’è poi il circuito “Cinema” per l’Home-Theatre e un ingresso pre che permette di utilizzare il finale quale solo finale, appunto, in sistemi multicanale e stereo. Le uscite per gli altoparlanti sono 2-4 e 4-8 Ohm. Le differenze non sono eclatanti, ma con le AN E Spx ho preferito utilizzare quelle per il carico più elevato, perché con le altre mi sembrava che il basso fosse appena meno definito. Monta quattro valvole KT88 che provvedono all’amplificazione finale, lavorando a triodo. Ci sono inoltre quattro valvole 12AU7 e altre tre valvole 12AX7.
Si può spegnere il logo sul frontale; qualcuno sostiene che si sentano differenze ma io non appartengo alla famiglia dei chirotteri e quindi dico solo che differenze non ne ho percepite. Peraltro a me piace più con il logo acceso che spento, al di là del fatto che il logo acceso, di giorno, ti fa capire che l’apparecchio è “on” e non “off”, mettendo al riparo da rischi di connessioni che possano rivelarsi pericolose (non è che le valvole si accendano come lampadine; e in una giornata di sole è facile farsi trarre in inganno).
Comunque i quattro piani a piedi con l’abbondante peso si sono alleggeriti e sono stati dimenticati non appena l’apparecchio ha iniziato a suonare (ho pensato che poi era da portare anche giù dalle scale, ma tra la salita e la discesa mi sono ascoltato tanta, tanta musica).
Il sito del distributore, ma anche quello del produttore, sono molto prodighi di informazioni sulla scelta delle valvole, ad esempio, oppure sulle origini dell’azienda e sulle collaborazioni “eccellenti” del team di VAC; consiglio di leggere quanto ivi scritto perché ad esempio si scopre come la nota replica dei Model 9 di Marantz, nella metà degli anni 90, sia stata opera di chi poi oggi costruisce i VAC. La cosa sarà nota a molti ma non a tutti. Così come è interessante leggere della filosofia di produzione che privilegia valvole attuali, cinesi, pur costose, rispetto alle valvole NOS che tanto fanno sognare gli audiofili; e tante altre notizie interessanti. Quantomeno dopo la lettura si avrà l’impressione che in VAC non ci sono degli “improvvisati”, ma gente che ha degli studi alle spalle, delle ambizioni, un’idea di suono e quindi è sul mercato e intende starci a lungo, cosa importante per chi mette i quattrini per acquistare i prodotti.
Ma l’esperienza con VAC va oltre gli ascolti da esposizione, perché ci sono state due occasioni d’ascolto in condizioni per me più controllate, perché è indubbio che io conosca bene anche l’impianto di Angelo Jasparro, così come lui conosca bene il mio; e Angelo i VAC li ha già provati ed io li ho potuti ascoltare da lui, scoprendo come poi questi VAC, pur essendo valvolari, cancellino e neghino ogni addebito che i detrattori dei tubi termoionici portano avanti come vessillo. Della valvola classica i VAC mantengono solo un aspetto, il medio-alto acceso, chiaro, pulitissimo, mentre non presentano praticamente nessuno dei caratteri sonici (qualcuno li chiama anche “colorazioni”) di buona parte delle amplificazioni valvolari che circolano nel nostro mondo audiofilo e che creano quindi l’esistenza dei detti detrattori (e ovviamente le lunghe schiere di fans).
Posso anche anticipare che il costo è alto; tuttavia, se confrontato con certa concorrenza giapponese o inglese (non serve che faccia i nomi; chi legge ha già capito benissimo) è assolutamente adeguato alle prestazioni ed alla finitura; magari non ci saranno pepite d’oro o filamenti in argento e platino, ma quando suona, suona e lo fa in modo tale da calmare molte delle smanie audiofile, rendendo tranquillo e sereno qui lo ascolta.
Bella macchina, ben costruita, ben rifinita, grande (un po’ ingombrante a dire il vero), con i suoi oltre trenta chili di peso questa macchina ha “profumo” di concretezza; una concretezza che sfocia negli oltre ottanta watt per canale (86, per la precisione) che pilotano a dovere le mie Audio Note AN E SPx ma che possono portare a spasso tanti altri sistemi di altoparlanti, anche non efficientissimi. L’apparecchio ha tre ingressi, oltre al Phono MM; un eventuale ingresso bilanciato e l’ingresso Phono MC sono opzionali. C’è poi il circuito “Cinema” per l’Home-Theatre e un ingresso pre che permette di utilizzare il finale quale solo finale, appunto, in sistemi multicanale e stereo. Le uscite per gli altoparlanti sono 2-4 e 4-8 Ohm. Le differenze non sono eclatanti, ma con le AN E Spx ho preferito utilizzare quelle per il carico più elevato, perché con le altre mi sembrava che il basso fosse appena meno definito. Monta quattro valvole KT88 che provvedono all’amplificazione finale, lavorando a triodo. Ci sono inoltre quattro valvole 12AU7 e altre tre valvole 12AX7.
Si può spegnere il logo sul frontale; qualcuno sostiene che si sentano differenze ma io non appartengo alla famiglia dei chirotteri e quindi dico solo che differenze non ne ho percepite. Peraltro a me piace più con il logo acceso che spento, al di là del fatto che il logo acceso, di giorno, ti fa capire che l’apparecchio è “on” e non “off”, mettendo al riparo da rischi di connessioni che possano rivelarsi pericolose (non è che le valvole si accendano come lampadine; e in una giornata di sole è facile farsi trarre in inganno).
Comunque i quattro piani a piedi con l’abbondante peso si sono alleggeriti e sono stati dimenticati non appena l’apparecchio ha iniziato a suonare (ho pensato che poi era da portare anche giù dalle scale, ma tra la salita e la discesa mi sono ascoltato tanta, tanta musica).
Il sito del distributore, ma anche quello del produttore, sono molto prodighi di informazioni sulla scelta delle valvole, ad esempio, oppure sulle origini dell’azienda e sulle collaborazioni “eccellenti” del team di VAC; consiglio di leggere quanto ivi scritto perché ad esempio si scopre come la nota replica dei Model 9 di Marantz, nella metà degli anni 90, sia stata opera di chi poi oggi costruisce i VAC. La cosa sarà nota a molti ma non a tutti. Così come è interessante leggere della filosofia di produzione che privilegia valvole attuali, cinesi, pur costose, rispetto alle valvole NOS che tanto fanno sognare gli audiofili; e tante altre notizie interessanti. Quantomeno dopo la lettura si avrà l’impressione che in VAC non ci sono degli “improvvisati”, ma gente che ha degli studi alle spalle, delle ambizioni, un’idea di suono e quindi è sul mercato e intende starci a lungo, cosa importante per chi mette i quattrini per acquistare i prodotti.
L’impianto nel
quale il VAC è stato inserito è il seguente: giradischi Bauer Audio
DPS, braccio Mørch DP 6, fonorivelatore Lyra Kleos, pre-phono
American Hybid Technology –P e casse acustiche le Audio Note AN E
SPx. Cavi di alimentazione Black Noise e Delta Sigma, cavi di segnale
DH Lab e YBA, cavi di potenza i MIT Matrix 39 e gli SL 12. Il lettore
di CD è il solito Pioneer PD9 che non cito quasi mai perché in
realtà l’uso del CD è raro in casa mia; anche avendo un paio di
migliaia di dischetti argentati, di fatto sono poi gli LP che fanno
la parte del leone (anche perché sono più numerosi dei CD).
E’ difficile parlare di qualcosa che ti sorprenda così tanto; si ha sempre la paura di fare del sensazionalismo, una sorta di gossip audiofilo. Eppure l’ascolto di questo amplificatore è piuttosto “doloroso” perché sparisce una parte del segnale che siamo soliti ascoltare, per lasciar maggior spazio a quanto è ripreso nella registrazione. Almeno, questo è quel che pare e che è accaduto a casa mia.
Pur usando registrazioni conosciute, è indicativo di una notevole trasparenza il fatto che io abbia inizialmente attribuito un difetto all’amplificatore, salvo poi scoprire che era un problema, mai rivelato tanto chiaramente, della registrazione.
Questo il fatto: arrivato Angelo Jasparro a cena, per aiutarmi ad issare l’amplificatore a casa (ma anche molto curioso di ascoltarlo), abbiamo montato le valvole, operato le connessioni, controllato il bias e poi abbiamo iniziato ad ascoltare musica. Avevo sul piatto del DPS il Concerto per pianoforte e orchestra n. 2 di J. Brahms, una registrazione Denon degli anni 70, uno dei primi PCM; appoggiata la puntina sul solco, è iniziato l’ascolto, ho lasciato passare una decina di minuti di ascolto e poi mi son girato verso Angelo e gli ho detto: “Mah, non so se riuscirei a vivere con questo suono. Non è esteso, col basso un po’ ridondante, molto centrato sul medio”. Angelo era più perplesso di me, perché da lui, con le sue JBL, i risultati con le amplificazioni VAC erano stati quelli che poi aveva descritto nei suoi articoli, molto diversi da quel che stavamo ascoltando; quindi ho preso un altro vinile, un Harmonia Mundi diretto da Philippe Herreweghe con la Cantata BWV 78 di J.S. Bach “Jesu der du meine Seele” e ho strabuzzato gli occhi.
“Cos’è successo? Adesso suona tutto splendidamente”. Semplice; la registrazione Denon non era corretta, quella Harmonia Mundi si. O, meglio, quella Denon rispondeva ad una acustica come quella di un teatro di quelli anni 70, con legni e moquettes, mentre la Harmonia Mundi il suono di un ascolto ravvicinato in un chiesa. Che la registrazione Denon fosse scura lo avevo già realizzato in precedenza, ma non in questa entità. Comunque da quel momento sono partiti gli ascolti veri e con un certo, profondo interesse; tra l’altro l’ampli era già stato rodato dal distributore e quindi era pronto per lavorare al massimo delle sue possibilità. E quando qui sopra ho detto che suona tutto splendidamente, avrei dovuto in realtà scrivere “suona tutto molto vero”, come una sorta di rimando alle esperienze d’ascolto avute nei tanti concerti ascoltati (e nel tanto canto fatto negli anni).
E’ difficile parlare di qualcosa che ti sorprenda così tanto; si ha sempre la paura di fare del sensazionalismo, una sorta di gossip audiofilo. Eppure l’ascolto di questo amplificatore è piuttosto “doloroso” perché sparisce una parte del segnale che siamo soliti ascoltare, per lasciar maggior spazio a quanto è ripreso nella registrazione. Almeno, questo è quel che pare e che è accaduto a casa mia.
Pur usando registrazioni conosciute, è indicativo di una notevole trasparenza il fatto che io abbia inizialmente attribuito un difetto all’amplificatore, salvo poi scoprire che era un problema, mai rivelato tanto chiaramente, della registrazione.
Questo il fatto: arrivato Angelo Jasparro a cena, per aiutarmi ad issare l’amplificatore a casa (ma anche molto curioso di ascoltarlo), abbiamo montato le valvole, operato le connessioni, controllato il bias e poi abbiamo iniziato ad ascoltare musica. Avevo sul piatto del DPS il Concerto per pianoforte e orchestra n. 2 di J. Brahms, una registrazione Denon degli anni 70, uno dei primi PCM; appoggiata la puntina sul solco, è iniziato l’ascolto, ho lasciato passare una decina di minuti di ascolto e poi mi son girato verso Angelo e gli ho detto: “Mah, non so se riuscirei a vivere con questo suono. Non è esteso, col basso un po’ ridondante, molto centrato sul medio”. Angelo era più perplesso di me, perché da lui, con le sue JBL, i risultati con le amplificazioni VAC erano stati quelli che poi aveva descritto nei suoi articoli, molto diversi da quel che stavamo ascoltando; quindi ho preso un altro vinile, un Harmonia Mundi diretto da Philippe Herreweghe con la Cantata BWV 78 di J.S. Bach “Jesu der du meine Seele” e ho strabuzzato gli occhi.
“Cos’è successo? Adesso suona tutto splendidamente”. Semplice; la registrazione Denon non era corretta, quella Harmonia Mundi si. O, meglio, quella Denon rispondeva ad una acustica come quella di un teatro di quelli anni 70, con legni e moquettes, mentre la Harmonia Mundi il suono di un ascolto ravvicinato in un chiesa. Che la registrazione Denon fosse scura lo avevo già realizzato in precedenza, ma non in questa entità. Comunque da quel momento sono partiti gli ascolti veri e con un certo, profondo interesse; tra l’altro l’ampli era già stato rodato dal distributore e quindi era pronto per lavorare al massimo delle sue possibilità. E quando qui sopra ho detto che suona tutto splendidamente, avrei dovuto in realtà scrivere “suona tutto molto vero”, come una sorta di rimando alle esperienze d’ascolto avute nei tanti concerti ascoltati (e nel tanto canto fatto negli anni).
Questa mia mania di citare la musica dal vivo è in realtà una mia esigenza; non riesco a sopportare suoni edulcorati, colorati, che mi allontanino da quello che ero e sono abituato ad ascoltare dal vivo. Comunque, spero sia chiaro che quando parlo di musica dal vivo, non intendo esprimermi come se avessi il Musikverein in casa mia (non è possibile per tante ragioni; le dimensioni della stanza, gli apparecchi, le registrazioni), ma intendo dire che c’è una similitudine, un suono che assomiglia a quanto si potrebbe ascoltare dal vivo, così da avvicinare di più alla musica che al semplice amore per l’audio o per gli apparecchi.
Ma l’esempio qui sopra citato si è poi rinnovato con praticamente tutte le registrazioni che ho ascoltato, tanto in CD/SACD che su vinile. I dischi che uso per farmi un’idea degli apparecchi sono poi sempre gli stessi, molti dei quali a voi noti. Quindi posso tranquillamente dire che il Vespro della Beata Vergine di Monteverdi (Gardiner/Archiv) presenta una traccia di freddezza delle voci, in forte e sulle note acute, che prima avevo sì percepito, ma non con questa chiarezza.
Che l’Ode For The Birthday of Queen Ann e l’Anthem For The Foundling Hospital di Haendel (Hogwood/Oiseau Lyre) sono anch’essi troppo aperti verso l’acuto.
Che il Départ di Rihm (Wienmodern/Abbado/DGG) è pressoché perfetto e comunque una delle registrazioni più “fedeli” che abbia in discoteca, idem.
Che il suono degli archi nel Fratres di Part (Naxos) ha ancor di più il sapore di strumenti suonati in una moderna sala da concerto, lucente, pure.
Quello che mi ha sorpreso di più con questo amplificatore è stato però l’ascolto dello stranoto Messiah di Haendel, nella ormai mitica registrazione Oiseau Lyre, con Hogwood sul podio. Quante volte l’ho ascoltato? Un migliaio? Beh, non credo di aver mai sentito una distribuzione dei componenti del coro tra le casse di tale precisione e di tale “verità” (sembrava di averli tutti schierati là in fondo, ben dietro le casse acustiche). La scena non è uno di quei parametri che personalmente (nel mio impianto, intendo) io ritenga importanti; ma quando la scena viene così ben riproposta, francamente non mi disturba affatto (anzi!). Al di là del fatto che anche in questa registrazione, non ho rilevato altro che timbri credibili, dinamiche corrette e una semplice, conseguente naturalezza (nel frattempo ho appreso della scomparsa di Christopher Hogwood, notizia che mi ha provocato una profonda tristezza per i tanti ricordi a lui legati).
Ma non è che questa tendenza alla pulizia del messaggio, questa attenzione per il particolare che non è mai fine a se stessa, sia collegata alla sola musica classica. L’ascolto dell’LP The King, con Benny Goodman al clarino (direct-to-disc Century Records, ora rimasterizzato in digitale e francamente con un risultato ben peggiore di quello del vinile originale di più di trent’anni fa) rivela una particolare attenzione del disegnare i piatti, timbricamente simili a quel che si ascolta dal vivo (come quando sento Angelo che suona la sua batteria), la chitarra, il trombone, con una “allure” che ti trasporta al cospetto dei musicisti (non so quanti abbiano questo disco, ma vale la pena cercarlo, anche usato, su Internet).
E analogo risultato si ottiene con altre registrazioni che sono ben note; nel mio caso mi riferisco a Time Out, del Dave Brubeck Quartet o a A Night In Tunisia, di Art Blakey and The Jazz Messengers, su Philips a incisione diretta.
Se poi la registrazione è già di per sé di qualità elevatissima, come le lacche a 45 giri della Classic Records, in questo caso i vinili dell’LP Duke Ellington And Louis Armstrong, scompaiono tutti i veli e l’impressione di verità la fa da padrona, anche per quelle piccole intemperanze del contrabbasso che però fanno tanto musica live.
Ed infine, anche se non è il mio genere più gettonato, le buone registrazioni di musica “moderna”, manifestano una propensione alla grande dinamica, già evidenziata con la musica classica. Splendido l’ascolto di Brain Salad Surgery di Emerson Lake & Palmer, ma anche il Selling England By The Pound dei Genesis, o il Making Movies dei Dire Straits, ove, dopo l’organetto iniziale stile “luna park” del brano iniziale Tunnel Of Love, il gruppo esplode con la giusta sensazione di violenza che ci si aspetta da quella musica.
Insomma, le ore trascorse in compagnia di questo VAC sono volate; malgrado le tre settimane di permanenza in casa, avrei preferito poterlo tenere ancora un po’. Non è che senza di lui il mio impianto faccia intrinsecamente schifo, questo no; ma lui puntualizza e precisa. E non lo fa come certi saccenti con la verità sempre in tasca, che ti danno dell’ignorante ogni due secondi, ma lo fa con l’educazione di chi ha una cultura vera; e semplicemente parlando, ti porta a riconsiderare, a meditare, a rivedere le tue posizioni.
Una macchina che merita di essere ascoltata; senz’altro e non ho nessun dubbio.
Domenico Pizzamiglio
Prezzo: 13.900,00 euro
Produttore: Valve Amplification Company, Inc.
Distributore: Mondo Audio
Ma l’esempio qui sopra citato si è poi rinnovato con praticamente tutte le registrazioni che ho ascoltato, tanto in CD/SACD che su vinile. I dischi che uso per farmi un’idea degli apparecchi sono poi sempre gli stessi, molti dei quali a voi noti. Quindi posso tranquillamente dire che il Vespro della Beata Vergine di Monteverdi (Gardiner/Archiv) presenta una traccia di freddezza delle voci, in forte e sulle note acute, che prima avevo sì percepito, ma non con questa chiarezza.
Che l’Ode For The Birthday of Queen Ann e l’Anthem For The Foundling Hospital di Haendel (Hogwood/Oiseau Lyre) sono anch’essi troppo aperti verso l’acuto.
Che il Départ di Rihm (Wienmodern/Abbado/DGG) è pressoché perfetto e comunque una delle registrazioni più “fedeli” che abbia in discoteca, idem.
Che il suono degli archi nel Fratres di Part (Naxos) ha ancor di più il sapore di strumenti suonati in una moderna sala da concerto, lucente, pure.
Quello che mi ha sorpreso di più con questo amplificatore è stato però l’ascolto dello stranoto Messiah di Haendel, nella ormai mitica registrazione Oiseau Lyre, con Hogwood sul podio. Quante volte l’ho ascoltato? Un migliaio? Beh, non credo di aver mai sentito una distribuzione dei componenti del coro tra le casse di tale precisione e di tale “verità” (sembrava di averli tutti schierati là in fondo, ben dietro le casse acustiche). La scena non è uno di quei parametri che personalmente (nel mio impianto, intendo) io ritenga importanti; ma quando la scena viene così ben riproposta, francamente non mi disturba affatto (anzi!). Al di là del fatto che anche in questa registrazione, non ho rilevato altro che timbri credibili, dinamiche corrette e una semplice, conseguente naturalezza (nel frattempo ho appreso della scomparsa di Christopher Hogwood, notizia che mi ha provocato una profonda tristezza per i tanti ricordi a lui legati).
Ma non è che questa tendenza alla pulizia del messaggio, questa attenzione per il particolare che non è mai fine a se stessa, sia collegata alla sola musica classica. L’ascolto dell’LP The King, con Benny Goodman al clarino (direct-to-disc Century Records, ora rimasterizzato in digitale e francamente con un risultato ben peggiore di quello del vinile originale di più di trent’anni fa) rivela una particolare attenzione del disegnare i piatti, timbricamente simili a quel che si ascolta dal vivo (come quando sento Angelo che suona la sua batteria), la chitarra, il trombone, con una “allure” che ti trasporta al cospetto dei musicisti (non so quanti abbiano questo disco, ma vale la pena cercarlo, anche usato, su Internet).
E analogo risultato si ottiene con altre registrazioni che sono ben note; nel mio caso mi riferisco a Time Out, del Dave Brubeck Quartet o a A Night In Tunisia, di Art Blakey and The Jazz Messengers, su Philips a incisione diretta.
Se poi la registrazione è già di per sé di qualità elevatissima, come le lacche a 45 giri della Classic Records, in questo caso i vinili dell’LP Duke Ellington And Louis Armstrong, scompaiono tutti i veli e l’impressione di verità la fa da padrona, anche per quelle piccole intemperanze del contrabbasso che però fanno tanto musica live.
Ed infine, anche se non è il mio genere più gettonato, le buone registrazioni di musica “moderna”, manifestano una propensione alla grande dinamica, già evidenziata con la musica classica. Splendido l’ascolto di Brain Salad Surgery di Emerson Lake & Palmer, ma anche il Selling England By The Pound dei Genesis, o il Making Movies dei Dire Straits, ove, dopo l’organetto iniziale stile “luna park” del brano iniziale Tunnel Of Love, il gruppo esplode con la giusta sensazione di violenza che ci si aspetta da quella musica.
Insomma, le ore trascorse in compagnia di questo VAC sono volate; malgrado le tre settimane di permanenza in casa, avrei preferito poterlo tenere ancora un po’. Non è che senza di lui il mio impianto faccia intrinsecamente schifo, questo no; ma lui puntualizza e precisa. E non lo fa come certi saccenti con la verità sempre in tasca, che ti danno dell’ignorante ogni due secondi, ma lo fa con l’educazione di chi ha una cultura vera; e semplicemente parlando, ti porta a riconsiderare, a meditare, a rivedere le tue posizioni.
Una macchina che merita di essere ascoltata; senz’altro e non ho nessun dubbio.
Domenico Pizzamiglio
Prezzo: 13.900,00 euro
Produttore: Valve Amplification Company, Inc.
Distributore: Mondo Audio