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Intervista a Jader BignaminiIl 2 novembre scorso abbiamo incontrato il M° Jader Bignamini, direttore affermato e molto richiesto all'estero, nome ormai di spicco nell'arte direttoriale italiana.
Prima di tutto ringraziamo il M° Bignamini per il tempo che ci ha concesso per rilasciarci l'intervista che troverete qui sotto. Secondariamente ci sia permesso dire due cose sul M° Bignamini che ai nostri occhi si è presentato uomo assolutamente privo di ogni forma di supponenza da star, mentre abbiamo trovato davanti a noi un quarantenne che vive il suo tempo, che sa di aver avuto occasioni che altri non hanno avuto, che non vive di sole certezze e che soprattutto cita spesso le cose importanti della sua vita, come i suoi figli, dei quali ha dimostrato di essere molto fiero (abbiamo volutamente tralasciato quanto da lui detto della sua famiglia perché riteniamo che faccia parte di una sfera privata che non deve essere violata). Finite le nostre osservazioni, trascriviamo l'intervista gentilmente concessaci. DP: Da clarinettista di ottimo livello a direttore di fama ormai internazionale. Come si è sviluppato questo percorso? JB: Il mio percorso è maturato in un modo un po' anomalo, ma io dico sempre che ognuno ha il percorso che più concerne la sua persona. Ho avuto questo percorso un po' strano perché ho sempre sognato di fare il clarinettista, quando ero piccolo, ed ho imparato a suonare nella mia banda, la banda di Ombriano di Crema. Poi, suonando, mi è venuta questa passione della direzione; ma quando ormai ero ragazzino e studiavo in Conservatorio ed avevo 15/16 anni, quando dirigevo il mio stereo con le bacchette del ristorante cinese, in camera e mia madre mi prendeva per matto. A 19 anni ho avuto l'occasione di dirigere la banda dove avevo imparato a suonare; il maestro era andato in pensione, loro sapevano che a me piaceva la cosa ed ho cominciato a sperimentare la direzione. Sono sempre stato molto interessato alle partiture, guardavo come funzionavano, mi facevo spiegare i vari strumenti, setticlavi e così via, finché ad un certo punto mi divertivo talmente tanto a dirigere che abbiamo organizzato un concerto, nel 2005, in cui è stata la prima volta che ho diretto un’orchestra, con la Settima e Ottava di Beethoven, entrambe in un concerto. Naturalmente ho chiamato tutti gli amici perché la prima volta che dirigi un'orchestra vuoi avere attorno solo gli amici (DP: visto anche il repertorio non proprio leggero per una prima esperienza), eh si, e quindi chiamai quasi tutti i fiati miei colleghi e molti archi dei Pomeriggi e abbiamo fatto questa orchestra. Dopo questa esperienza mi sono detto, beh, non mi riesce così male e quindi andai da Corbani e gli chiesi “mi faccia provare a dirigere, qualsiasi cosa, anche una cosa non molto importante; se funziona” - dissi - “va bene, altrimenti io torno anche a sedermi e vado avanti a suonare il mio clarinetto”. Ricordo che lui mi disse “ma sei sicuro? Perché noi un altro clarinetto piccolo come te non lo troviamo”. Insistetti ed un Sabato, per i Crescendo in Musica, mi fecero dirigere un concerto per i bambini. Nessuno disse nulla e mi domandai: sarà andato bene, sarà andato male? In realtà, qualche settimana dopo, venne da me Ruben Jais (attuale direttore artistico de laVerdi, n.d.r), mi disse che c'era un altro concerto e mi chiese se mi interessasse dirigerlo. Quindi mi son detto che non era andata tanto male e piano piano hanno iniziato a darmi cose sempre più importanti. Ho diretto tantissimi concerti per ragazzi, tantissime lezioni concerto in cui mi divertivo con tutti i ragazzi a presentare l'orchestra, le partiture, anche perché a me piace molto stare coi giovani. Nel frattempo c'era bisogno di un direttore assistente, perché bisognava preparare tutte le sinfonie di Mahler. Ho avuto il battesimo di fuoco dopo la Prima di Mahler diretta dal M° Xian Zhang; alla fine della prova generale, il M° Zhang ha detto: “adesso io voglio stare in sala ad ascoltare; Jader vieni a dirigere”. Ho lasciato sulla sedia il mio clarinetto, ho preso la sua bacchetta e mi sono messo a dirigere. La Prima di Mahler l'avevo suonata tantissime volte e la conoscevo bene e dopo quella mini prova, il M° Zhang mi ha chiamato nel salottino dove ci troviamo ora e mi ha detto: “da ora sei direttore assistente”. Da allora, mentre suonavo, ho dovuto preparare le sinfonie di Mahler e nel frattempo preparavo anche tutti i concerti, perché se fosse successo qualcosa, avrei dovuto dirigere io. In un anno e mezzo ho studiato circa duecento partiture. Poi è arrivata una domenica, con una Quinta di Mahler; mancavano cinque minuti al concerto ed io mi stavo preparando per suonare. E’ arrivato Ruben Jais che mi ha detto: "la Signora Zhang ha problemi al polso e non se la sente di dirigere tutta la sinfonia e farebbe solo il primo movimento; te la senti di sostituirla per la restante parte?” Io risposi: “certo!” Era un rischio calcolato perché avevo fatto due prove con l'orchestra e conoscevo molto bene la partitura; e andò bene. La settimana dopo venne l'allora Presidente della Repubblica Napolitano in visita a Milano per il 150° anniversario dell'Unità d'Italia, fui ripreso in diretta RAI e in otto giorni ho avuto questo exploit, gli agenti si sono fatti sotto e da lì piano piano è partito tutto. DP: Certo che debuttare proprio con l'Adagietto, non è uno scherzo. Il secondo e il terzo movimento sono relativamente più semplici. JB: (ride) Io amo il palco quando c'è tanta gente; se c'è poca gente mi sento un po' solo. Con tanta gente mi sento protetto e quindi dirigo meglio. Da lì ho iniziato ad approfondire gli studi, strumentazione, orchestrazione ecc. Ho avuto la fortuna di fare l'assistente a tantissimi direttori; ho avuto la fortuna di avere il M° Chailly che è venuto ad ascoltarmi in un Andrea Chenier e mi ha dato molti consigli. Poi sono stato suo assistente nell'Ottava di Mahler. Ho avuto delle persone che mi hanno dato fiducia, primo fra tutti Corbani che piano piano mi ha dato delle opportunità senza bruciarmi. Mi hanno dato l'orchestra amatoriale da dirigere, un'orchestra con la quale puoi sperimentare, fare di tutto al riparo da critiche e crescere come si faceva una volta, un luogo dove tu puoi crescere; perché lo strumento lo hai a casa e lo studi quando vuoi, ma l'orchestra non l’hai a casa e quindi devi andare sul podio più che puoi. Mi hanno dato queste occasioni, hanno avuto fiducia in me, io l'ho ripagata quanto ho potuto e si sta avviando una carriera che si, si sta rivelando anche importante. DP: Quindi il gesto non è frutto di una scuola ma il frutto del vedere i direttori che la dirigevano. JB: Si, il gesto poi ognuno trova il suo. Non mi piace scimmiottare nessuno e non ho mai scimmiottato nessuno. Chiaro che avendo lavorato con Chailly per sei anni, che è uno dei direttori col gesto più bello in assoluto, cerchi di rubare più che puoi. Però c'era una lettera molto famosa di Kleiber che diceva che si impara da tutti i direttori, dai buoni come dagli scarsi; dagli scarsi si impara quel che non si deve fare. E quindi, l'importante è cercare di imparare da tutti; e questo è. DP: A proposito di Kleiber, pare che temesse di correggere gli archi perché si offendevano. Lei teme di correggere il clarinetto (Bignamini ride)? Da ex clarinettista intendo, perché pare che gli strumentisti non amino molto essere corretti. JB: No, non ho paura di correggere nessuno. L'importante è essere positivi; poi si danno degli input. Quanto a correggere, o sei con un'orchestra molto scarsa, oppure il lavoro del direttore non è tanto correggere, ma dire magari: " bello qua ma potremmo fare diversamente". DP: Mi riferivo in particolare al colore che gli strumenti dovrebbero avere nell'idea del direttore. JB: Però, sai, nell'ottenere un certo suono dagli archi hai più margine; se cerchi di ottenere un suono diverso da un legno entri in un campo minato. Se correggi sembra che tu gli dica: "suoni male". Si può chiedere un suono più chiaro, si può chiedere di tenere più a lungo una nota, ma sul suono … DP: Mi riferisco ad un suo concerto dello scorso anno con la Quinta di Beethoven e la Prima di Mahler che io ho trovato splendido e alcuni amici hanno criticato dicendo che non hanno sentito né Beethoven né Mahler. Quando lei si mette davanti alla partitura qual è il suo atteggiamento? Il fedele interprete della partitura ritenendo che quel che c'è è lì scritto, o è più nello stile di Furtwängler e dei suoi rubato? JB: No, il mio approccio è il primo. E infatti credo che il più delle volte siamo abituati ad ascoltare, anche in registrazioni famose, cose non segnate in partitura. Io sapevo di rischiare più in Beethoven che non in Mahler, perché Mahler l'ho fatto tante volte e lo conosco benissimo. Mahler scrive tutto. Nel fare la Quinta di Beethoven per come è scritta, capisci che vai contro quel che c'è di solito nell'orecchio della gente. Io sapevo che già solo nell'incipit potevo guadagnare la simpatia o l'antipatia di chi è abituato a sentirla in un altro modo. Cioè, invece di farla (e il M° canticchia l'incipit della Quinta), la frase è stata subito: “ma ti sei mangiato le corone?”; no, ho fatto quel che è scritto; una battuta con la corona e la seconda battuta legata a una con la corona, quindi non sono tutte uguali. Poi ognuno può fare quel che vuole. Io sono molto autocritico, non sono mai contento anche di quello che faccio io e dico: "si, questo potevo farlo meglio"; ed anche quando ascolto incisioni molto importanti, mi accorgo che ci sono cose fatte benissimo, ma che, partitura alla mano, non sono scritte così. DP: Io infatti avevo trovato bellissima la Sua esecuzione dell'Also Sprach Zarathustra, chiaro, lucente, con un fraseggio chiarissimo, senza esasperazioni. JB: Non mi piace personalizzare a tutti i costi l'esecuzione. Il “fàmolo strano” per metterci la mia firma non è nella mia indole. Io sono un tramite e devo cercare di portarlo all'orchestra e cercare il risultato che è scritto. DP: Siamo entrambi cremonesi e siamo entrambi concreti, vedo; peraltro devo dirle che quel concerto è stato molto importante perché vista la notorietà del brano, sono riuscito a portare molti giovani dello studio nel quale lavoro che sono rimasti estasiati da questo rapporto diretto con l'orchestra sinfonica che ti investe col suo suono; sono usciti teatro entusiasti del concerto. Eravamo in seconda fila e lei ci ha spettinati per bene (il Maestro ride). Per quanto riguarda la musica vocale, tipo il Requiem, ho notato che lei ha una particolare attenzione per le voci che spesso i direttori coprono. Lei non ha studiato canto, però. JB: No, io non ho studiato canto, ma ho molto diretto l'opera. Ho incominciato ad amare l'opera intorno ai 20 anni perché prima, da buon strumentista a fiato, amavo la sinfonica. Quando ho incominciato a suonare l'opera in realtà molto piccole, le classiche “marchette” d'inizio carriera, ho cominciato ad amare l'opera, Verdi e Puccini, ma Verdi più che Puccini. Mi ricordo un aneddoto: ai tempi dovevo suonare il clarinetto in Traviata e mio padre, che non è né musicista né melomane, mentre suonavo mi disse: ”bello questo assolo; ma cosa succede mentre lo suoni?” Ed io mi sono vergognato perché non sapevo cosa succedeva in quel momento. Sapevo che era il “momento della lettera” perché me lo aveva detto il mio insegnante, ma non sapevo cosa accadeva in scena. Da quel momento mi sono detto: “no, non è possibile che io non sappia cosa succede in scena mentre io suono”. Da lì ho incominciato a studiare, libretti, partiture, "qui succede questo", l'attenzione alla parola, il legame tra musica e parola. Quando dirigi un'opera, il timore è che non si senta proprio quello. Quando studio un'opera, io, come penso tutti, inizio dalla parola e mi studio il testo, poi la parte dei cantanti; dopo studio tutta l'orchestrazione. Ed il fatto che tu studi la parola, ti fa dire, in certi momenti: "qui c'è scritto forte, ma forse è meglio farlo mezzoforte perché chi viene a sentire l'opera vuole venire a sentire i cantanti, vuole seguire la storia seguendo le parole. E se tu gliele mangi …" DP: A questo riguardo ricordo una produzione tedesca in cui Herbert von Karajan faceva un'audizione ad una giovane Sumi Jo. La cantante coreana doveva affrontare il ruolo della Regina della Notte e Karajan, preoccupato, le chiese chi l'avrebbe diretta. Sumi Jo non seppe rispondere (poi si scoprì che il Zauberfloete in questione fu diretto da Georg Solti). E Karajan le disse: "spero sia un direttore che sa far suonare molto piano, altrimenti a furia di dirti “canta più forte, non ti sento”, ti rovinerà la voce per sempre". Passiamo alla domanda. Abbiamo visto che il suo repertorio al momento è l'Ottocento e l'inizio del Novecento. Ci saranno aperture verso il barocco o la musica contemporanea? JB: No, sicuramente non nel barocco. Io non mi sento tagliato per la musica barocca. Ho una maniera di dirigere anche abbastanza sanguigna, muscolosa, con la quale ho dovuto combattere per asciugarla. Il barocco, forse perché sono nato come clarinettista, non ha repertorio in quel periodo. Ho diretto una volta le Quattro Stagioni, ma le ho fatte con le Quattro Stagioni di Piazzolla che sono state molto apprezzate dal pubblico. Non vorrei trarre in inganno; sto cercando di ampliare il mio repertorio e quest'anno ho fatto Rossini a Pesaro, un autore che amo molto ma che necessita di maturità. La musica contemporanea, dipende. Io sono convinto che sia giusto fare musica contemporanea e proporla al pubblico. Detto questo, bisogna anche scegliere composizioni belle e so che il bello è soggettivo, ma ci sono alcune cose che sono proprio brutte. Ci sono composizioni per le quali, mentre le studi, ti vien da dire “questa proprio non ce la faccio”. Detto questo, se io potessi scegliere tutti i miei programmi, la musica contemporanea sicuramente avrebbe un ruolo un po' marginale, me ne rendo conto anche se ci sono cose che mi piacciono, che voglio affrontare e che affronterò. Nella prossima stagione faremo il concerto per trombone e orchestra di Högberg che è molto particolare, bellissimo, orchestrato in maniera incredibile. Io ho due figli, un figlio di 14 anni e una figlia di 12 anni. Quando c'è qualcosa di nuovo glielo faccio ascoltare e guardo le loro reazioni. Se dopo due minuti vanno via, meglio di no. Se invece chiedono: “chi suona” o dicono: “bello questo!”, allora funziona. Ci sono comunque dei brani di musica contemporanea che vorrei fare. DP: Direttori di riferimento? JB: Per me “Il Direttore”, il Dio Direttore è Carlos Kleiber. Poi Bernstein che era un genio, direttorialmente forse meno genio di come era compositore, anche se alcune cose che lui ha fatto in quel modo, le poteva fare solo lui. Poi ci sono stati e ci sono tanti direttori, ma come Kleiber … DP: C'è un compositore che le mette più ansia? JB: Stravinskij, pur se lo amo molto. Devo dire una cosa; io dirigo senza partitura (tranne l'opera, in cui è meglio averla). In concerto dirigo sempre a memoria, non perché sia meglio, come dicono alcuni, ma solo perché riesco ad avere un contatto immediato con l'orchestra. Dirigendo a memoria, uso le orecchie; quando ho la partitura davanti sento anche con gli occhi e a volte ti sembra di sentire una cosa che in realtà hai sentito solo perché l'hai vista leggendo la partitura. Quindi, tranne l'Uccello di Fuoco che ho fatto più volte qui a laVerdi, ho diretto Jeux de Cartes e il Sacre e ho avuto difficoltà a dirigerle a memoria. Mentre uno Zarathustra, in realtà, se apri la partitura è tutta a schemi e una volta compresi i vari schemi sai come dirigerla, in Jeux de Cartes no; hai trovato lo schema, ma più avanti è diverso. E' la differenza tra l'imparare una poesia che si ripete, piuttosto che una che invece è molto lunga. DP: Che rapporto ha con la musica pop e moderna in generale JB: Non ho nessun rapporto. Amo molto il Jazz, ma sono tradizionalista. Amo Glenn Miller e Benny Goodman e arrivo a Count Basie; amo molto Sinatra e se mi voglio rilassare, ascolto lui. Quando dirigevo la mia banda, per quasi quindici anni, ho fatto di tutto, anche i Deep Purple, perché con i ragazzi giovani devi fare di tutto. Però io sono convito che la musica debba essere suonata e suonata bene, sia con amatori che professionisti. La musica leggera non riesco ad ascoltarla ma semplicemente perché è così banale che più banale non si può. Odio i talent show perché danno un messaggio incredibilmente sbagliato, perché danno l'illusione di poter diventare un ballerino o un cantante in due mesi, mentre in realtà sappiamo bene che se uno vuole fare la professione, deve iniziare a studiare e lo deve fare presto. Io ho iniziato a nove anni lo studio del clarinetto ed ho iniziato a fare la professione a 20 anni, vincendo qui a laVerdi a 21 anni. Eppure ne avevo ancora da imparare! Come è possibile che uno per fare la professione debba studiare tanti anni e in un talent ti facciano credere che bastano due mesi? Sono cose che sento perché la televisione, a casa ce l’ho, ma la guardano i miei figli, io no. Per vedere quel che mi interessa, uso il mio computer. DP: noi siamo anche una rivista di audio. Che rapporto ha con la tecnologia, con l'audio in generale? JB: Non sono un intenditore. Ho naturalmente il mio iPod da 120 giga che mi porto dietro per la comodità di averlo con me. Non ho un impianto bello, anche se sono anni che dico: “lo farò”. Amo molto le cuffie e recentemente, a Mosca, me ne hanno regalata una da 2500 Dollari; amo queste cose, il fatto di collegare e dire … “questo è figo” … e ascoltare bene. Studio molto di notte, quando i miei figli dormono e quindi uso le cuffie, ma non ho “l'impianto”, tipo “a valvole”. Il fatto è che chi lavora nella musica è obbligato ad ascoltare quello su cui sta lavorando e sono pochi i momenti in cui può ascoltare per il piacere di ascoltare. Quindi, a volte ti dici: “ho un'ora libera”; che faccio? E non ti viene in mente di ascoltare un disco, ma vai a fare un giro con tua moglie! E su questa affermazione di carattere famigliare, abbiamo lasciato il M° Bignamini alle prove del Requiem di Verdi del quale leggerete prossimamente su Audio-Activity.com. Domenico Pizzamiglio |
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