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Come la ... sento io
parte prima
Eccomi qui, con una serie di articoli per la rubrica “Come la … sento io”, nella quale vorrei provare a fare un po’ di chiarezza su argomenti che sembrano proprio non essere chiari sia a molti audiofili, che ad altrettanti “addetti ai lavori” (produttori, distributori e persino recensori).
Di cosa parliamo? Udite udite, parliamo, e parleremo, di musica dal vivo, di registrazioni, di ciò che gli impianti hi-fi dovrebbero fare e spesso non fanno, sebbene non sempre per colpa loro. In quest’ultima frase ho usato il plurale per il semplice motivo che mi piacerebbe stimolare un dibattito coi lettori di Audio-activity.com. Cominciamo dall’inizio; l’inizio del mio discorso ma anche l’inizio del nostro hobby: la musica. Temo che vi darò l’impressione di essere un po’ noioso nelle premesse dei vari argomenti che tratterò, ma vedrete che un breve ripasso farà bene a tutti, a cominciare da chi vi scrive. La musica, quindi. Quella musica che si diffonde da uno strumento, si libra nell’aria muovendone le molecole, ed arriva ai nostri timpani, ansiosi di trasformarla in impulsi elettrici comprensibili al cervello. Quest’ultimo “interpreta” detti impulsi e ce li presenta sotto forma di musica, voci, o semplici rumori che ci devono mettere sull’avviso di eventuali pericoli. Toccherà, in questi miei articoli, smontare pezzo per pezzo le elucubrazioni simil-filosofiche di quanti pretendono di spiegare che la percezione del suono è assolutamente soggettiva e non standardizzabile in alcun modo. Ci vorrà un po’ di tempo, non tutti si troveranno d’accordo con me, ma bisogna farsene una ragione e continuare a vivere ugualmente. Tornando al nostro cervello, che è il trasduttore principe, quello che ci fa percepire i suoni, ci troviamo davanti al primo ostacolo “filosofico”, perché secondo alcuni ogni cervello interpreta i suoni a modo suo. Prima sciocchezza colossale. Vorrei vedere se uno di questi "filosofi", sentendo il ruggito di un leone alle sue spalle, non scapperebbe a gambe levate. E con questo, forse si renderebbe conto che il ruggito di un leone, una volta che il nostro cervello ha imparato a riconoscerlo (e basta una volta), resta il ruggito di un leone per ciascuno dei sette miliardi di abitanti della Terra. Con questo si spera di aver chiarito che se tu senti un ruggito, sento un ruggito anch’io, e non un cinguettìo, quali che siano le condizioni a contorno. Certo (e quest’esempio sarà ripetuto spesso), se non distingui il suono di un piatto ride da un piatto crash, o un timpano da una grancassa, non te la puoi prendere col tuo innocente cervello. Puoi dire tutto ed il suo contrario, tanto non sai di cosa stai parlando. E questo è solo l’inizio, il padre di tutti i luoghi comuni sull’audio. Poco a poco li affronteremo tutti, e li affronteremo insieme, cercando di capire che bisogna concentrarsi sulle travi e non sulle pagliuzze, e cercando soprattutto di capire cosa deve uscire dai nostri diffusori e come deve uscirne, se il segnale originale è trattato nel migliore dei modi. Non saranno disquisizioni tecniche, che lascio a chi di tecnica sa molto più di me, ma consigli, se vogliamo, dettati dalla mia quasi cinquantennale esperienza dietro ad uno strumento musicale acustico, ed altrettanti anni dedicati agli ascolti della musica, in tutti i modi che riuscite ad immaginare, comprese le vecchie Boombox stile Harlem. Ciò che mi irrita di più è la fatidica domanda tipica di tutti i forum, ed ora anche dei Social Network: “Fedeltà a cosa? Al segnale originale o a quello registrato? E chi ti dice come è stato registrato, se non eri presente in sala?”. Ma benedetti figlioli, voi tralasciate la cosa più importante, che tra l’altro è nelle vostre mani e non in quelle di tecnici del suono più o meno assassini (con le dovute eccezioni, che sono molte più di quanto crediate), e cioè la conoscenza. Che parolona, e soprattutto quanta fatica si fa per raggiungerla, seppure in modo molto parziale. Ed allora, ecco che per giustificare in primis con sé stessi la propria ignoranza, si cercano mille alibi per restare con le terga bene appiccicate al divano di casa, invece di uscire a vedere – anzi, sentire – il mondo reale. Perché se ci si arma di buona volontà si può evitare la prima delle sciocchezze che spesso leggo, ripetute a pappagallo: “Se ascolti il suono di un violino in teatro, ti accorgi che il suono cambia a seconda di dove ti siedi e quindi … liberi tutti”. Ma state scherzando? Che gusto ci provate a prendere in giro voi stessi? Fatela davvero, questa prova, invece di attaccarvi a pretesti inesistenti, e vi accorgerete di una cosa che sto per dirvi. Ma prima voglio ricordare un monologo teatrale di Giorgio Gaber, che raccontava la storia di Giotto di Bondone, pittore del 1200, famoso per due cose: le matite colorate che portano il suo nome, ed il fatto che pare sia stato il primo ad accorgersi che il cielo non era color oro, malgrado fosse stato sempre dipinto così. Si è reso conto, uscendo di casa un giorno, che il cielo era azzurro. Perché vi racconto questo aneddoto? Perché se un giorno qualcuno di voi prenderà coraggio ed andrà in teatro a sentire uno o più violini e lo farà più volte, in varie posizioni ed in vari teatri, si renderà conto di … non che i violini sono azzurri, ma che il loro suono è sempre quello dei violini. Potrà essere meno forte, se siamo più lontani, potrà cambiare leggermente di colore a seconda della progettazione dell'acustica del teatro, ma sarà sempre un suono di violini veri, e non di violini Sonus Faber o Magneplanar (due nomi a caso, giusto per spiegarmi). Datemi retta, smettete di raccontarvi barzellette da soli, che siete rimasti in pochi a crederci, ma soprattutto verificate le cose con le vostre orecchie, invece di propalare l’ignoranza con ogni mezzo possibile. Quindi, appurato che uno strumento, dal vivo, suonerà sempre come uno strumento vero, sebbene paia incredibile, possiamo fare il passo seguente, con la necessaria premessa che si parlerà quasi sempre di musica nella quale sono registrati strumenti acustici, dei quali conosciamo, o dovremmo conoscere, il suono vero. Cosa c’è registrato in un disco? Come facciamo a saperlo? Non ci crederete, ma in studio si mette un microfono (o più microfoni, a seconda dello strumento che vogliamo registrare) vicino allo strumento, ed il suono ripreso dal microfono viene convertito in un segnale elettrico. La membrana contenuta nel microfono fa il lavoro opposto a quello di un altoparlante, visto che vibra con l’aria ed attraverso una bobina converte il moto in segnale elettrico. Quindi, per quanto possa essere imperfetto un microfono, se è di buona qualità non modificherà più di tanto il timbro dello strumento ripreso. E se abbiamo a che fare con un buon tecnico, attento al posizionamento dei microfoni, a non esagerare con la compressione dinamica, a non equalizzare eccessivamente i suoni (soprattutto le voci), il risultato della registrazione può essere splendido, ed avvicinarsi moltissimo a quanto possiamo ascoltare dal vivo, sebbene non in tutti i casi (le grandi orchestre, ad esempio, sono sempre molto complicate da riprendere). In ogni caso, anche nelle registrazioni non impeccabili, il suono originale degli strumenti, o delle voci, esiste sempre. Può darsi che alcune sezioni dell’orchestra siano squilibrate rispetto ad altre, che alcuni dettagli sfuggano o siano stati messi troppo in primo piano in sede di missaggio, ma la vicinanza all’evento reale si può giudicare solo se si ha esperienza di eventi simili, se non proprio uguali. In tanti anni ed in tanti ascolti, ho verificato spesso che gli audiofili sono alla continua ricerca di ciò che non solo non esiste, ma non dovrebbe neanche esistere. Cercano ad esempio una profondità chilometrica dell’immagine sonora che neanche un direttore d’orchestra sente, una risoluzione nel suono che si ottiene solo infilando la testa in un sax, vorrebbero da una sala di registrazione un riverbero stile Westminster Abbey (e poi ve lo rifilano ricreato elettronicamente, così siete contenti). Ricordo, tanti anni fa, che si faceva a gara a chi, nel proprio impianto, sentisse la celesta dello Schiaccianoci di Gergiev (CD Philips, splendida registrazione e ci torneremo) provenire dal punto più alto della stanza d'ascolto. Manco fosse, nomen omen, uno strumento che suona dal cielo. La celesta è invece una specie di piccolo pianoforte i cui martelletti percuotono lamelle metalliche, e di solito è posto alla stessa altezza di tutti gli orchestrali, o al massimo un pochino più in alto, vicino alle percussioni. Il suo suono piuttosto acuto, in quella registrazione, è probabilmente ripreso con dei riverberi provenienti dal soffitto del Teatro Kirov, ma da lì ad innalzarla nell’alto dei cieli, ce ne corre … Di questi aneddoti potrei averne anche altri, ma è inutile infierire. Solo chi è stato ad un concerto dove è prevista la celesta, può sapere che si era alla ricerca non solo di una cosa impossibile, ma soprattutto di una cosa non vera.
Adesso, prima che finisca lo spazio a disposizione di questa lunga puntata introduttiva, bisognerà anche parlare di quello che dovrebbero fare i nostri amati - odiati impianti. Perché lo sappiamo cosa dovrebbero fare, vero? Oppure le precedenti novemila battute di questo pezzo non sono servite a niente? Un’espressione magica: “Alta Fedeltà”, e si torna quasi daccapo. Alta fedeltà a cosa? Io la risposta ce l’ho: alla musica. E saremmo anche un po’ stufi di chi tende a legittimare a tutti i costi quella che viene giustamente definita “my-fi”, nel nome della quale assistiamo a scempi tremendi, giustificati con le espressioni: “se piace a te, va tutto bene”, oppure “a me piace così”. Ci sta, va bene tutto, ma quello che è sbagliato è disinformare il prossimo, in barba a coloro che cercano ogni santo giorno di divulgare conoscenza ed esperienza, sperando di portare gli appassionati ad una consapevolezza che proteggerebbe prima di tutto loro stessi, aiutandoli a non sperperare il proprio sudato patrimonio in insensati cambi di apparecchi. Nelle prossime puntate parleremo di esempi concreti; cercherò di raccontare del suono degli strumenti veri, di come dovrebbero o non dovrebbero essere riprodotti, dei dischi che raggiungono o meno l’obiettivo, ma anche di come lavorare sul vostro impianto per azzeccare le varie combinazioni necessarie ad arrivare ad una corretta riproduzione sonora. Un'ultima cosa: potrebbe mai il sottoscritto, rocchettaro per nascita e mai pentito, tralasciare la musica non acustica? Ovviamente no, ed infatti non lo farò. Parleremo anche in questo caso di registrazioni ben fatte e desumeremo che lo siano in base ad un risultato timbricamente e dinamicamente credibile. A presto Angelo Jasparro 23/04/2020 - Segue nella seconda parte |