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Come la ... sento io
parte seconda
Dopo l’introduzione rappresentata dalla prima parte, entriamo subito nel vivo del discorso, con un CD di musica Jazz, e precisamente “Appearance”, del gruppo tedesco Triplicated. Si tratta di una registrazione del 1996, realizzata dall’etichetta Organum, che potete ancora trovare in rete, anche se magari con qualche difficoltà.
Sax, basso e batteria sono gli strumenti che trovate in questo CD, e sono suonati con molta perizia dai componenti della band. Non entro nel merito dei gusti musicali per quanto riguarda questo genere di jazz, piuttosto “cool”, ma voglio parlarvi nello specifico della qualità del suono, che è l’argomento di questa serie di articoli. Prendo questo CD ad esempio di qualità sopraffina di registrazione, e per parlarvi di come si possa avvicinare il risultato perfetto, ma soprattutto di come riconoscerlo. Abbiamo solo tre strumenti, quindi non sarà particolarmente complesso analizzarli tutti. Partiamo dalla batteria che, come sapete, è il mio strumento, e per questa ragione conosco il suono che dovremmo ascoltare dal nostro impianto di riproduzione. Ecco: questa è una delle batteria meglio incise che io conosca. Fate caso al suono della grancassa, tanto per cominciare. E’ la classica grancassa di batteria jazz, non troppo grossa ed abbondantemente “stoppata” per evitare ineleganti risonanze. Mi viene in mente una definizione di gamma bassa che ho letto di recente in rete, a proposito di una famosissima marca di diffusori: “suono cartonato” … ma benedetto figliolo, non è che tu sei abituato ad ascoltare quel suono molle, magari gonfiato dalle risonanze del tuo ambiente, o magari la grancassa amplificata di un concerto dei Pooh, che ogni volta che è percossa, pare il terremoto di Casamicciola? Il suono reale della grancassa della batteria è per forza “cartonato” (espressione pessima ma rende l’idea), anche perché scaturisce da una membrana in plastica le cui vibrazioni sono annullate da coperte, cuscini e tutto ciò che la fantasia suggerisce di mettere tra le pelli del tamburo. Ne esce un suono sordo, che tra l’altro è prodotto da una pelle di solito molto lasca, che quindi tende a non emettere armoniche. Passiamo ai piatti di questa batteria. Hanno un suono piuttosto diverso da quello argentino e lucido che siamo abituati ad ascoltare nelle registrazioni. Vediamo di spiegarne la ragione. Il piatto della batteria è realizzato con una lega di bronzo, rame e stagno, in percentuali variabili. Inoltre, i piatti sono percossi, salvo rari casi, con una bacchetta di legno. Con un po’ di fantasia, anche se non abbiamo mai ascoltato un piatto vero, possiamo renderci conto che suonerà diversamente da, per esempio, un bicchiere di cristallo percosso con un coltello di metallo. Quello di non sapere come deve suonare un piatto reale, è un errore che commettiamo o abbiamo commesso in molti. Quando dimostro gli impianti dal vivo, spesso racconto un aneddoto, che mi piace riportarvi in questa occasione. Da giovanissimo batterista alle prime armi, diventavo matto cambiando marche e modelli di piatti, alla ricerca della “qualità assoluta, e cioè di quel suono che ascoltavo nei dischi. Dopo infinite prove in tutti i negozi di musica di Milano e dintorni, sono faticosamente giunto ad una conclusione: non erano i miei piatti a suonare male, erano invece quelli delle registrazioni che erano fasulli! Tutti suonavano troppo aperti e carenti delle frequenze inferiori, che venivano (e vengono tuttora) brutalmente tagliate in fase di ripresa. In questo CD sentirete, ad esempio un piatto ride (quello grosso, che “swinga”), che pare avere un suono più basso in frequenza, rispetto a ciò che ascoltiamo di solito. Al netto delle inevitabili differenze tra tipi di piatti e di marche (un China, ad esempio, ha un suono vicino a quello di un piccolo gong), è questo il suono che vorremmo (o meglio, dovremmo) ascoltare sempre. E che invece ci propongono raramente, perché non è abbastanza fighetto. Impressionante sentire, mentre il piatto è stoppato con una mano, il passaggio dei colpi della bacchetta tra la campana ed il bordo esterno. Insomma: sembra un piatto vero. Passiamo al rullante. Immagino tutti sappiate che si tratta del tamburo posizionato tra le gambe del batterista (si, va bene, come se aveste fatto la battuta), che qui suona con una velocità di attacco spaventosa, probabilmente a causa dell’assenza pressoché totale di compressione dinamica. Anche qui, è un piacere poter ascoltare le risonanze del fusto del tamburo ad ogni colpo di bacchetta, e quelle dei tom quando il batterista colpisce i loro cerchi durante l’assolo. Le pelli degli altri tamburi vibrano ed i loro fusti risuonano “per simpatia”, come si suol dire. Per questa ragione non ho messo la mia batteria nella stanza dove ascolto musica. Basta un colpo di tosse alla distanza di 2 metri dallo strumento, per sentirne l’eco nei tamburi.
Ovviamente, nelle sale di registrazione, “ammazzano” tutte queste cose, e voi sentite un tamburo per volta, come se gli altri non esistessero. Qui, invece, durante l’assolo, ogni colpo forte sul rullante è “rinforzato” dal timpano, che si fa sentire in sottofondo. Un’ultima cosa, prima di passare ad un altro strumento: le ghost notes. Vi spiego brevemente cosa sono: se avete visto, magari in TV che così è inquadrato da vicino, un batterista colpire il rullante, vi sarete accorti che tra un colpo e l’altro, di solito sul 2 e sul 4 della singola misura, la mano sinistra continua a percuotere la pelle, sebbene con molta meno energia. Bene: queste sono le ghost notes che vedete e di solito … non sentite. Infatti si chiamano note fantasma. Ma sappiate, anche se non credete ai fantasmi, che se state ascoltando quella batteria dal vivo e non amplificata, i fantasmi vi appariranno. Vi appariranno come un riempimento degli spazi vuoti, con una sensazione di completezza di ciò che state ascoltando, che potrebbe essere molto piacevole. Invece, quando la batteria è microfonata, di solito ce li perdiamo per strada. Vi spiego il perché: il fonico tende a tagliare (“briccare”, si dice in gergo) i suoni sotto una certa intensità, grazie ad un processore che si chiama gate, in modo che non siano neanche amplificati e restino nei microfoni. La ragione è anche comprensibile: evitare una serie di rumori e rumorini o anche rientri, che interferirebbero coi suoni, Ma così si butta il bambino con l’acqua calda, ed un batterista che vuole suonare con un’ampia tavolozza dinamica, deve fare delle prove ben precise durante il sound check, se vuole che il pubblico senta ciò che sta suonando. Passiamo ora al suono del contrabbasso. anche questo, pur essendo meno eclatante rispetto a quello della batteria, è decisamente preciso ed apprezzabile. I giri armonici sono sempre perfettamente apprezzabili, non si perde una nota. Il volume, che spesso con questo strumento rappresenta un problema, è decisamente congruo. Vi spiego il perché di questa affermazione: solitamente, il contrabbasso è registrato troppo alto. Siete mai stati in un jazz club, delle dimensioni usuali per questo tipo di locale? Avrete notato che il contrabbasso è microfonato e collegato ad amplificatori di bassa potenza, tipicamente 50 o 100 Watt che, per locali di cubature che non sono mai ridottissime, sembrano pochi. Però lo si sente. Lo si sente il giusto. Il contrabbasso, salvo qualche assolo previsto dalla serata è uno strumento che accompagna il gruppo, lasciando le parti soliste ad altri. Non deve mai essere preponderante, anche perché coprirebbe le nuance degli altri strumenti, guastando il piacere dell’ascolto di certe finezze, che rendono la musica più interessante. Vi è mai capitato di ascoltare impianti in casa dei vostri amici (perché se suonano male, è sicuramente in casa di altri, mai nella nostra), che erano dotati di una gamma bassa preponderante al punto di rovinare il resto delle frequenze? Una schifezza, tutto si impasta a causa di un basso molle e che magari viene aumentato dalle risonanze dell’ambiente d’ascolto, facendovi venire voglia di alzarvi e salutare. Ma qualcuno forse non se ne accorge, crede che la musica sia veramente così ed esclama: “senti che basso”. Il basso ci dev’essere, assolutamente, pena ascolti freddi e privi di emozione, ma dev’essere quanto basta, che se si esagera non si capisce più niente. Tocca al sax, adesso. Ed in questo caso, come ci capiterà di notare anche in futuro per altri strumenti, entra davvero in gioco il gusto di ognuno di noi. Calma; non mi sto contraddicendo rispetto a quanto ho scritto nella prima parte, non parlo di timbro, che qui è decisamente impeccabile, ma della distanza di ripresa. Ci sono sax ripresi col microfono praticamente dentro lo strumento, che vi fanno sentire il soffio del musicista ed il suono delle meccaniche, mescolati alla musica. Ci piace così? E’ decisamente poco naturale, perché in un qualsiasi locale dal vivo lo ascoltiamo diversamente, ma va bene, ci sta. Fa parte della spettacolarizzazione che in parte può giustificare quanto abbiamo speso per il nostro impianto. Ma se vogliamo essere catapultati nel luogo della registrazione, non ci siamo. Diciamo che ascoltiamo quel sax a 5 metri di distanza, se siamo fortunati? Ecco che la saliva nell’ancia del sax ce la perdiamo per strada. In compenso, acquisiamo un’omogeneità d’ascolto di tutti gli strumenti, che ci fa godere dell’intero spettacolo. Spero di essermi spiegato, quando uso un aggettivo che ricorre spesso nelle mie recensioni: “naturalezza”. Già sento la domanda aleggiare dietro le mie spalle: “come fai a giudicare la naturalezza, che non conosci le condizioni della registrazione?”. Risposta: non m’interessano, in questa sede. Faccio semplicemente riferimento ai tanti concerti che ho ascoltato nella mia vita, di molti generi musicali, e conosco la sensazione che provo. Se ciò che ascolto mi avvicina a quella sensazione, è perché ascolto una registrazione (e riproduzione, beninteso) naturale. Perché la musica, in natura, suona così. Se invece ascolto una cosa che mi sa di fasullo, ve lo dico. A proposito: una batteria che suona innaturale? Semplice, quella del disco test Sheffield, che tutti conoscerete perché nelle fiere ve l’hanno fatta ascoltare migliaia di volte. Non ha un suono vero, ha un suono spettacolare, ingigantito da riverberi e pesantemente equalizzato. Uno specchietto per le allodole, un disco dimostrativo degli eventuali fuochi d’artificio che un impianto audio può fare, ma nulla di più. Ben suonato, però. Naturalmente, abbiamo parlato di tecniche di registrazione e dei loro risultati, dando per scontato che il nostro impianto di riproduzione sia in grado di evidenziare sia i pregi, che i difetti dei dischi che gli diamo in pasto. Scopo di questi articoli è proprio quello di spiegare, a chi non sa, cosa c’è in un determinato disco, e cosa deve riscontrare nell’ascolto a casa sua. Se siamo onesti con noi stessi, magari ci servirà per affinare il posizionamento dei diffusori, ad esempio, se non vogliamo o non abbiamo la possibilità di cambiare i componenti del nostro impianto. Alla prossima con altre registrazioni. Angelo Jasparro Maggio 2020 - segue |