Bel Canto 3.7, Bel Canto 600M
Bel Canto … nome impegnativo. Evoca un’arte, quella del “bel canto”, appunto, in cui pochi, per non dire pochissimi, han saputo eccellere. Non tutti infatti raggiungono la perfezione tecnica per poter affrontare quel repertorio, solitamente collocato nella prima metà del XIX secolo (Donizetti, Bellini, Rossini, tanto per dirne qualcuno di stranoto), ma che in realtà era stato coniato molto tempo prima. E da quella tecnica nasce poi l’espressività, che altro non è che saper piegare la voce in mille sfumature, così da dare espressività al testo cantato (e questo non è appannaggio di chiunque).
Certo che scegliere un nome simile per un marchio audio non è una scelta proprio “prudenziale”. E’ anzi piuttosto “sfrontata” perché ha il sapore di una dichiarazione d’intento non da poco. Riuscirà il nostro quartetto a portarci verso la via della perfezione formale? Vedremo alla fine della recensione. Quanto all’espressività, quella dovrebbe stare nella registrazione e se tutto l’impianto lavora bene, ce la ritroviamo in sala d’ascolto.
Certo che scegliere un nome simile per un marchio audio non è una scelta proprio “prudenziale”. E’ anzi piuttosto “sfrontata” perché ha il sapore di una dichiarazione d’intento non da poco. Riuscirà il nostro quartetto a portarci verso la via della perfezione formale? Vedremo alla fine della recensione. Quanto all’espressività, quella dovrebbe stare nella registrazione e se tutto l’impianto lavora bene, ce la ritroviamo in sala d’ascolto.
Sicuramente non si parte con qualcosa di secondario. La potenza dei finali parla chiaro; qui si può lavorare di fino, ma si può fare anche la voce grossa nel suonare certo rock col volume “a palla” (condomini permettendo). 300 Watt per ciascun finale su 8 Ohm, che diventano 600 su 4 Ohm non sono esattamente pochi. Così come di fino lavora il preamplificatore con alimentazione separata che cela al suo interno un DAC in grado di trattare i segnali sino a 24 bit/192 kHz.
Flessibilità ce n’è abbastanza per soddisfare sia chi ama ancora il vecchio giradischi (è presente un ingresso analogico), ma soprattutto chi va verso il digitale, con tutte le connessioni possibili, tranne l’USB, che necessita di un convertitore separato.
Ovviamente si tratta di apparecchiature digitali per le quali non perdo molto tempo nelle spiegazioni tecniche che sono peraltro presenti sul sito del produttore stesso e che forse non val la pena qui richiamare (non è tanto per economia tout court, ma io penso sempre che chi sta leggendo questo pezzo, ha un computer e quindi gli costa poco accedere al sito del produttore per avere tutte le informazioni che gli servono).
Flessibilità ce n’è abbastanza per soddisfare sia chi ama ancora il vecchio giradischi (è presente un ingresso analogico), ma soprattutto chi va verso il digitale, con tutte le connessioni possibili, tranne l’USB, che necessita di un convertitore separato.
Ovviamente si tratta di apparecchiature digitali per le quali non perdo molto tempo nelle spiegazioni tecniche che sono peraltro presenti sul sito del produttore stesso e che forse non val la pena qui richiamare (non è tanto per economia tout court, ma io penso sempre che chi sta leggendo questo pezzo, ha un computer e quindi gli costa poco accedere al sito del produttore per avere tutte le informazioni che gli servono).
Nella confezione dei finali c’è il manuale d’istruzioni e il cavo di alimentazione (il solito, stile computer). Nella confezione del preamplificatore c’è il telecomando, con le relative batterie, il cavo di collegamento tra alimentatore separato e pre vero e proprio e un riduttore che permette di agganciare alla presa BNC un comune cavo con uscita coassiale a 75 Ohm, dotato di connettore RCA “maschio”.
Finita la descrizione (per la quale potete comunque riferirvi alle foto che ho fatto), possiamo passare all’ascolto per vedere se queste macchine sono proprio “canterine” come il nome lascerebbe presagire.
L’amplificazione è stata testata inserendola nel mio impianto che è il consueto composto da giradischi Bauer DPS 2 con braccio Morch DP6 e testina Lyra Kleos, pre-fono American Hybrid Technology -P, preamplificatore Lavardin C62, finale di potenza Bryston 2B-LP, casse acustiche Davis Acoustics Monitor One, con i consueti cablaggi.
Come prima scelta sono partito collegando i finali al mio preamplificatore, ovviamente in configurazione sbilanciata e usando rigorosamente i loro cavi di alimentazione (il fine tuning con cavi più chic lo faccio sempre dopo che ho “focalizzato” la sonorità degli apparecchi di volta in volta in prova).
Appena accesi i finali è sorta spontanea l’esclamazione “mamma, come è grande questo suono”. In effetti la scena è amplissima e ben estesa anche in altezza, sicuramente molto più che con moltissime delle amplificazioni passate per casa, anche potenti. Non mancano né la larghezza né la profondità, che sono naturalmente restituite in base a quanto presente nella registrazione, ma la sensazione di grandezza, di altezza, ma anche di peso degli strumenti, ha fatto da subito un’ottima impressione.
Finita la descrizione (per la quale potete comunque riferirvi alle foto che ho fatto), possiamo passare all’ascolto per vedere se queste macchine sono proprio “canterine” come il nome lascerebbe presagire.
L’amplificazione è stata testata inserendola nel mio impianto che è il consueto composto da giradischi Bauer DPS 2 con braccio Morch DP6 e testina Lyra Kleos, pre-fono American Hybrid Technology -P, preamplificatore Lavardin C62, finale di potenza Bryston 2B-LP, casse acustiche Davis Acoustics Monitor One, con i consueti cablaggi.
Come prima scelta sono partito collegando i finali al mio preamplificatore, ovviamente in configurazione sbilanciata e usando rigorosamente i loro cavi di alimentazione (il fine tuning con cavi più chic lo faccio sempre dopo che ho “focalizzato” la sonorità degli apparecchi di volta in volta in prova).
Appena accesi i finali è sorta spontanea l’esclamazione “mamma, come è grande questo suono”. In effetti la scena è amplissima e ben estesa anche in altezza, sicuramente molto più che con moltissime delle amplificazioni passate per casa, anche potenti. Non mancano né la larghezza né la profondità, che sono naturalmente restituite in base a quanto presente nella registrazione, ma la sensazione di grandezza, di altezza, ma anche di peso degli strumenti, ha fatto da subito un’ottima impressione.
Gli amplificatori finali sono tonalmente corretti. Non ci sono gamme in evidenza e forse solo la gamma altissima è appena sottrattiva, ma non molto e certo non nell’entità in cui mi ricordavo appartenesse ai Bel Canto nei modelli più piccoli e nelle serie meno recenti. A dire che il limite non sembrano certo loro, semmai le registrazioni che spesso sono fatte abbastanza “con i piedi”; e non mi riferisco a quelle recenti, compresse ed “MP3izzate” (che brutto termine), ma anche ai classici delle grandi etichette tipo DGG, CBS, EMI, che non sempre hanno offerto registrazioni da urlo.
Quel che è certo è che usando registrazioni di alta qualità (e nello specifico parlo del Fratres di Arvo Part su Naxos) si parte dal leggerissimo appoggiare dell’archetto sulle corde dei violini, sino ai violenti colpi di percussioni, in un continuo crescendo, senza nessuna forma di stress e con un controllo sul suono pressoché assoluto. Timbri corretti, bella scena e si tira avanti sino alla fine del disco (compresi i controllati, pur potentissimi, archi gravi della composizione “Cantus in memoriam Benjamin Britten” durante il quale le poche risonanze dei bassi che si producono si percepiscono chiaramente provenire dall’ambiente domestico o dalla registrazione stessa).
L’introduzione della preamplificazione (usando il giradischi e quindi solo la sezione analogica) ha ancora aumentato la sensazione di correttezza timbrica generale che questa amplificazione porta in sé. L’ascolto del vecchio ma sempre buono Barbiere di Siviglia nell’esecuzione di Abbado (DGG) ha dato chiaramente l’impressione di trovarsi in un buon teatro lirico (da milanese, penso ovviamente a La Scala), con l’orchestra, leggermente “scura” in buca e i cantanti, invece, ben presenti sul palcoscenico. Anche in questo caso, in confronto con la mia amplificazione, il suono sembra essere più pesante, corporeo ed il palcoscenico si manifesta ampio e credibile.
Nell’uso della sezione DAC, tramite il lettore CD e la presa coassiale elettrica, è evidente come la sonorità complessiva del quartetto di elettroniche sia naturale; non ci sono mai esagerazioni né in gamma alta, né in gamma media, né in gamma bassa. Ascoltando una buona registrazione di pianoforte (e mi spiace ripetermi, ma il volume brahmsiano di Pogorelic per la DGG lo è; o, in alternativa, l’eccellente registrazione – anche dal punto di vista esecutivo – Improptus di Franz Schubert suonati da Chiara Bertoglio per Velut Luna – troverete un mio scritto qui su Audio-Activity.com nella sezione “Musica”) la sensazione che il pianoforte sia vero c’è. E più si alza il volume, più sembra che lo strumento si avvicini a noi. Senz’altro una bella prestazione su uno strumento che molti ritengono essere il più difficile da riprodurre (e mio mi domando il perché, visto che un’orchestra è ben più complessa).
Anche con musiche particolarmente delicate, come sono ad esempio certe registrazioni di musica dei tempi più antichi (Fair, Sweet and Cruel della BIS; Puer Natus Est degli Stile Antico su Harmonia Mundi; Missa Bell’Amphitrit Altera di Orlando di lasso su Argo o le Seqentiae di Hildegarde von Bingen su Harmonia Mundi) nulla da dire se non che il suono che scaturisce dall’impianto è di quelli che vanno verso il versante del naturale, privo di asprezze, ma comunque piuttosto pronto nel restituire le varie sfaccettature del timbro delle voci.
Quel che è certo è che usando registrazioni di alta qualità (e nello specifico parlo del Fratres di Arvo Part su Naxos) si parte dal leggerissimo appoggiare dell’archetto sulle corde dei violini, sino ai violenti colpi di percussioni, in un continuo crescendo, senza nessuna forma di stress e con un controllo sul suono pressoché assoluto. Timbri corretti, bella scena e si tira avanti sino alla fine del disco (compresi i controllati, pur potentissimi, archi gravi della composizione “Cantus in memoriam Benjamin Britten” durante il quale le poche risonanze dei bassi che si producono si percepiscono chiaramente provenire dall’ambiente domestico o dalla registrazione stessa).
L’introduzione della preamplificazione (usando il giradischi e quindi solo la sezione analogica) ha ancora aumentato la sensazione di correttezza timbrica generale che questa amplificazione porta in sé. L’ascolto del vecchio ma sempre buono Barbiere di Siviglia nell’esecuzione di Abbado (DGG) ha dato chiaramente l’impressione di trovarsi in un buon teatro lirico (da milanese, penso ovviamente a La Scala), con l’orchestra, leggermente “scura” in buca e i cantanti, invece, ben presenti sul palcoscenico. Anche in questo caso, in confronto con la mia amplificazione, il suono sembra essere più pesante, corporeo ed il palcoscenico si manifesta ampio e credibile.
Nell’uso della sezione DAC, tramite il lettore CD e la presa coassiale elettrica, è evidente come la sonorità complessiva del quartetto di elettroniche sia naturale; non ci sono mai esagerazioni né in gamma alta, né in gamma media, né in gamma bassa. Ascoltando una buona registrazione di pianoforte (e mi spiace ripetermi, ma il volume brahmsiano di Pogorelic per la DGG lo è; o, in alternativa, l’eccellente registrazione – anche dal punto di vista esecutivo – Improptus di Franz Schubert suonati da Chiara Bertoglio per Velut Luna – troverete un mio scritto qui su Audio-Activity.com nella sezione “Musica”) la sensazione che il pianoforte sia vero c’è. E più si alza il volume, più sembra che lo strumento si avvicini a noi. Senz’altro una bella prestazione su uno strumento che molti ritengono essere il più difficile da riprodurre (e mio mi domando il perché, visto che un’orchestra è ben più complessa).
Anche con musiche particolarmente delicate, come sono ad esempio certe registrazioni di musica dei tempi più antichi (Fair, Sweet and Cruel della BIS; Puer Natus Est degli Stile Antico su Harmonia Mundi; Missa Bell’Amphitrit Altera di Orlando di lasso su Argo o le Seqentiae di Hildegarde von Bingen su Harmonia Mundi) nulla da dire se non che il suono che scaturisce dall’impianto è di quelli che vanno verso il versante del naturale, privo di asprezze, ma comunque piuttosto pronto nel restituire le varie sfaccettature del timbro delle voci.
Quanto alla capacità di elargire potenza, ben difficile che i due finali, ben assecondati dal DAC/preamplificatore, possano avere difficoltà. I più ampi intervalli dinamici, come le percussioni della Fanfare For The Common Man di Copland su Crystal Clear (vinile a incisione diretta degli anni Settanta, ma ancora oggi una grandissima registrazione), non impensieriscono assolutamente l’amplificazione che li restituisce potenti, frenati, ma soprattutto in modo credibile e tale da far dimenticare la loro presenza (per molti non è un complimento; per me si).
Così come violenti sono i contrasti dinamici, tanti i più ampi che i meno ampi, contenuti nel troppe volte citato Départ di Wolfgang Rihm (Wien Modern, Abbado, DGG) dove anche i suoni di minore intensità non vengono mai coperti dai suoni più potenti. Quella che un tempo si definitiva selettività è qui ben presente pur senza essere “buttata in faccia”, ma è ben integrata con il resto.
Insomma, un’ottima amplificazione che può soddisfare chi cerca alta qualità, anche come operatività, ma non intende impegnare la stanza con amplificazioni grosse e pesanti (il quartetto, dal punto di vista estetico, appare leggero). Con la solita raccomandazione che leggerete qui sotto e che vale per un po’ tutte le amplificazioni con moduli PWM.
Una notazione finale. Le amplificazioni di potenza (i preamplificatori non lo hanno mai fatto) che utilizzano tecnologia PWM hanno solitamente un fastidioso effetto sul suono. Una sorta di rumore che sporca il suono principale, sommandogli una serie di piccoli frammenti dello stesso segnale; è difficile da spiegare, ma chi ascolta attentamente lo sente; solitamente è più evidente con il pianoforte, soprattutto la parte destra della tastiera. Questi finali ne sono esenti? No, perché è un problema tipico della tipologia; tuttavia in questo caso la quantità è sufficientemente ridotta, tale da non renderla evidente e fastidiosa (un po’ come accadeva con i Wyred4Sound provati tempo addietro, che però erano anche più “rotondi” in alto) e percepibile solo a volume elevato. Peraltro molte persone neppure lo percepiscono (purtroppo noi due di Audio-activity.com si, e siamo anche piuttosto sensibili.
Poi ricordo sempre che gli amplificatori di potenza con tecnologia digitale solitamente mal digeriscono carichi complessi; nell’impianto di Angelo Jasparro, con le JBL 4350 e i cavi MIT della serie top, i finali suonavano male e pure compressi; situazione non presentatasi da me che uso cavi più facili e casse dal crossover probabilmente più leggero (ovviamente non ho usato solo le mie casse principali, manche un paio di altri mostriciattoli piuttosto duri e ostici). Da me non c’è stata nessuna compressione ed anzi ho ricevuto intimazioni dal vicinato perché, abitando io all’ultimo piano, temevano si scoperchiasse il tetto nuovo che abbiamo posato lo scorso inverno (e col costo sostenuto da ognuno di noi, pro-quota, per il tetto, si sarebbero potuti acquistare tanti begli impianti audio, anche di buone pretese).
OK. Ma dopo tutto questo scrivere, il “bel canto” è stato rispettato? Senz’altro e quindi? E quindi … evviva Rossini!
Domenico Pizzamiglio
Così come violenti sono i contrasti dinamici, tanti i più ampi che i meno ampi, contenuti nel troppe volte citato Départ di Wolfgang Rihm (Wien Modern, Abbado, DGG) dove anche i suoni di minore intensità non vengono mai coperti dai suoni più potenti. Quella che un tempo si definitiva selettività è qui ben presente pur senza essere “buttata in faccia”, ma è ben integrata con il resto.
Insomma, un’ottima amplificazione che può soddisfare chi cerca alta qualità, anche come operatività, ma non intende impegnare la stanza con amplificazioni grosse e pesanti (il quartetto, dal punto di vista estetico, appare leggero). Con la solita raccomandazione che leggerete qui sotto e che vale per un po’ tutte le amplificazioni con moduli PWM.
Una notazione finale. Le amplificazioni di potenza (i preamplificatori non lo hanno mai fatto) che utilizzano tecnologia PWM hanno solitamente un fastidioso effetto sul suono. Una sorta di rumore che sporca il suono principale, sommandogli una serie di piccoli frammenti dello stesso segnale; è difficile da spiegare, ma chi ascolta attentamente lo sente; solitamente è più evidente con il pianoforte, soprattutto la parte destra della tastiera. Questi finali ne sono esenti? No, perché è un problema tipico della tipologia; tuttavia in questo caso la quantità è sufficientemente ridotta, tale da non renderla evidente e fastidiosa (un po’ come accadeva con i Wyred4Sound provati tempo addietro, che però erano anche più “rotondi” in alto) e percepibile solo a volume elevato. Peraltro molte persone neppure lo percepiscono (purtroppo noi due di Audio-activity.com si, e siamo anche piuttosto sensibili.
Poi ricordo sempre che gli amplificatori di potenza con tecnologia digitale solitamente mal digeriscono carichi complessi; nell’impianto di Angelo Jasparro, con le JBL 4350 e i cavi MIT della serie top, i finali suonavano male e pure compressi; situazione non presentatasi da me che uso cavi più facili e casse dal crossover probabilmente più leggero (ovviamente non ho usato solo le mie casse principali, manche un paio di altri mostriciattoli piuttosto duri e ostici). Da me non c’è stata nessuna compressione ed anzi ho ricevuto intimazioni dal vicinato perché, abitando io all’ultimo piano, temevano si scoperchiasse il tetto nuovo che abbiamo posato lo scorso inverno (e col costo sostenuto da ognuno di noi, pro-quota, per il tetto, si sarebbero potuti acquistare tanti begli impianti audio, anche di buone pretese).
OK. Ma dopo tutto questo scrivere, il “bel canto” è stato rispettato? Senz’altro e quindi? E quindi … evviva Rossini!
Domenico Pizzamiglio
Bisogna che aggiunga qualche parola a quanto brillantemente già scritto da Domenico, soprattutto per quanto riguarda il cattivo suono che i Bel Canto hanno proposto nel mio impianto nel periodo in cui erano in prova da lui, ho cambiato sala d’ascolto.
La nuova, oltre ad essere molto più grande ed accogliente, è in un’altra posizione ed usufruisce di un impianto elettrico dedicato all’impianto. Ma a parte queste cose, delle quali parleremo approfonditamente in un articolo apposito, non posso negarvi che la perplessità sulla prestazione di queste elettroniche non mi abbandonava. Volevo capire il motivo per il quale da me i Bel Canto non suonavano, mentre da Domenico si. Va bene la fortuna, va bene l’aria diversa (la sua è più inquinata perché lui vive a Milano città mentre io sto almeno a 5 km più distante), va bene tutto ma …
Appena terminata la prova, gli apparecchi sono rientrati da me, per essere rispediti al distributore italiano, che è già stato fin troppo paziente. Ne frattempo, è venuta pronta la mia nuova sala. Appena montato e provato l’impianto, con conseguente presa d’atto del suono della nuova stanza (sulla quale c’è ancora da lavorare ma, grazie al buon progetto a cura del sottoscritto, già a buon punto), ho voluto subito collegare i Bel Canto, prima della loro partenza. Tutti insieme, pre e finali … Sorpresa! Il suono c’è, ed è molto buono. Quindi, le ipotesi di incompatibilità coi cavi MIT o con qualche componente del mio impianto vengono a cadere. Al momento in cui scrivo il mistero non è ancora stato risolto e forse rimarrà tale, che non ho intenzione di riportare l’impianto dove stava prima.
Quindi, anche da me le prestazioni sono sovrapponibili a quanto scritto da Domenico e non mi soffermerò sui particolari, per non allungare troppo questa recensione. In questo momento sto ascoltano il pianoforte di Pogorelich nel CD “Mozart - Piano Sonatas” (DG) e non noto più le distorsioni sgradevoli di prima. A parte il leggerissimo effetto del quale Domenico vi ha parlato al quale purtroppo sono molto sensibile, ma che qui si presenta in misura quasi impercettibile (probabilmente in un test in cieco non me ne accorgerei), il suono che ascolto è corretto, la risposta in frequenza sembra una retta e non trovo appunti da muovere al risultato globale.
Ciò che vorrei approfondire, invece, sono le caratteristiche del preamplificatore/DAC 3.7.
Il controllo di volume, telecomandabile, è digitale a 24 bit e tutti i 5 ingressi digitali dei quali è dotato, sono asincroni. Le uscite sono sia bilanciate che sbilanciate. Non deve portare a conclusioni errate il fatto che la macchina non preveda un ingresso USB. Bel Canto, evidentemente, ha dato la priorità, in questo suo modello top, alla sezione preamplificatrice. Infatti, i modelli di categoria inferiore, sono dotati di serie dell’ingresso USB. Presumo che la scelta di utilizzare un’interfaccia apposita si debba a motivazioni tecniche. Penso per esempio al lettore digitale/DAC di Playback Designs MPS-5, che adotta lo stesso sistema.
Per quanto riguarda i finali, invece, c’è da annotare che la tecnologia dei moduli in Classe D che li compongono, è una novità: dagli ICE-Power di B&O, si passa ai moduli nCore, prodotti da Hypex.
In conclusione, un trittico (più alimentatore) di estetica sobria ed elegante, dal suono irreprensibile ed accurato, offerto ad un prezzo perfettamente in linea col mercato attuale, per prestazioni e qualità realizzativa. Ultima osservazione: se avete poco spazio e desiderate apparecchi che consumino poco, qui cascate alla perfezione. Addirittura, Bel Canto consiglia (a ragione) di non spegnerli mai, che tanto il loro consumo è irrisorio. Che suonino meglio quando sono ben caldi è un fatto.
Angelo Jasparro
Produttore: Bel Canto Design
Distributore per l'Italia: Audio Point Italia
Prezzi di listino: DAC 3.7 euro 5.395,00 - Finali 600M euro 2.995,00 cad,
La nuova, oltre ad essere molto più grande ed accogliente, è in un’altra posizione ed usufruisce di un impianto elettrico dedicato all’impianto. Ma a parte queste cose, delle quali parleremo approfonditamente in un articolo apposito, non posso negarvi che la perplessità sulla prestazione di queste elettroniche non mi abbandonava. Volevo capire il motivo per il quale da me i Bel Canto non suonavano, mentre da Domenico si. Va bene la fortuna, va bene l’aria diversa (la sua è più inquinata perché lui vive a Milano città mentre io sto almeno a 5 km più distante), va bene tutto ma …
Appena terminata la prova, gli apparecchi sono rientrati da me, per essere rispediti al distributore italiano, che è già stato fin troppo paziente. Ne frattempo, è venuta pronta la mia nuova sala. Appena montato e provato l’impianto, con conseguente presa d’atto del suono della nuova stanza (sulla quale c’è ancora da lavorare ma, grazie al buon progetto a cura del sottoscritto, già a buon punto), ho voluto subito collegare i Bel Canto, prima della loro partenza. Tutti insieme, pre e finali … Sorpresa! Il suono c’è, ed è molto buono. Quindi, le ipotesi di incompatibilità coi cavi MIT o con qualche componente del mio impianto vengono a cadere. Al momento in cui scrivo il mistero non è ancora stato risolto e forse rimarrà tale, che non ho intenzione di riportare l’impianto dove stava prima.
Quindi, anche da me le prestazioni sono sovrapponibili a quanto scritto da Domenico e non mi soffermerò sui particolari, per non allungare troppo questa recensione. In questo momento sto ascoltano il pianoforte di Pogorelich nel CD “Mozart - Piano Sonatas” (DG) e non noto più le distorsioni sgradevoli di prima. A parte il leggerissimo effetto del quale Domenico vi ha parlato al quale purtroppo sono molto sensibile, ma che qui si presenta in misura quasi impercettibile (probabilmente in un test in cieco non me ne accorgerei), il suono che ascolto è corretto, la risposta in frequenza sembra una retta e non trovo appunti da muovere al risultato globale.
Ciò che vorrei approfondire, invece, sono le caratteristiche del preamplificatore/DAC 3.7.
Il controllo di volume, telecomandabile, è digitale a 24 bit e tutti i 5 ingressi digitali dei quali è dotato, sono asincroni. Le uscite sono sia bilanciate che sbilanciate. Non deve portare a conclusioni errate il fatto che la macchina non preveda un ingresso USB. Bel Canto, evidentemente, ha dato la priorità, in questo suo modello top, alla sezione preamplificatrice. Infatti, i modelli di categoria inferiore, sono dotati di serie dell’ingresso USB. Presumo che la scelta di utilizzare un’interfaccia apposita si debba a motivazioni tecniche. Penso per esempio al lettore digitale/DAC di Playback Designs MPS-5, che adotta lo stesso sistema.
Per quanto riguarda i finali, invece, c’è da annotare che la tecnologia dei moduli in Classe D che li compongono, è una novità: dagli ICE-Power di B&O, si passa ai moduli nCore, prodotti da Hypex.
In conclusione, un trittico (più alimentatore) di estetica sobria ed elegante, dal suono irreprensibile ed accurato, offerto ad un prezzo perfettamente in linea col mercato attuale, per prestazioni e qualità realizzativa. Ultima osservazione: se avete poco spazio e desiderate apparecchi che consumino poco, qui cascate alla perfezione. Addirittura, Bel Canto consiglia (a ragione) di non spegnerli mai, che tanto il loro consumo è irrisorio. Che suonino meglio quando sono ben caldi è un fatto.
Angelo Jasparro
Produttore: Bel Canto Design
Distributore per l'Italia: Audio Point Italia
Prezzi di listino: DAC 3.7 euro 5.395,00 - Finali 600M euro 2.995,00 cad,